Due richieste di scioglimento del Consiglio comunale cadute nel vuoto. Poi la sindacatura di una donna fuori dai vecchi schemi, che finisce con una mozione di sfiducia. Il primo Consiglio comunale che non era in odore di mafia, quindi, s’era mandato a casa da solo. Così, poco dopo vinceva le elezioni Roberto Materia, candidato sostenuto dal Pdr di Beppe Picciolo e dalla destra di Mimmo Nania. Adesso sospeso dalla carica di primo cittadino, dopo la bufera giudiziaria che ha travolto il Comune.
È la strana storia di Barcellona Pozzo di Gotto, grosso centro cittadino nel lato tirrenico della provincia di Messina. Città che la commissione antimafia definì “la Corleone del XXIesimo secolo”.
L’ultimo fatto di cronaca è l’inchiesta dello scorso 16 febbraio, che ha portato lunedì 19 alla sospensione da parte della prefettura di Messina di Roberto Materia dalle sue funzioni. Funzioni che di fatto non poteva esercitare da quando, venerdì, era stato sottoposto a divieto di dimora.
Non può più vivere nella città che amministra perché secondo gli inquirenti ha gestito l’amministrazione come un bene proprio, favorendo gli abusi edilizi del suo assessore. “Non un ente di servizio pubblico, ma una istituzione a loro completa disposizione”, questo il quadro ricostruito dagli inquirenti, messo nero su bianco dal gip del Tribunale di Barcellona, Fabio Gugliotta, che ha portato a 8 misure cautelari: l’ex assessore allo sport, Angelo Coppolino in carcere. Coinvolti anche il segretario comunale, Santi Alligo, e il vice comandante della polizia municipale, Salvatore Di Pietro, che ai magistrati sotto interrogatorio ha raccontato come “in più occasioni, l’assessore si sarebbe schierato a tutela degli ambulanti abusivi, alcuni soggetti, tra l’altro, pluripregiudicati, al fine di “ammorbidire “l’attività della polizia Municipale nei loro confronti”.
Dei faretti interrati nella pavimentazione della piazza pubblica, nella parte occupata abusivamente dal ristorante Il Borgo, i cui locali sono riconducibili all’assessore, Angelo Coppolino: “I Coppolino mi dissero che la piazzetta era di loro proprietà e che io avrei potuto utilizzarla per la mia attività di ristorazione”, riferisce questo Mariano Rizzo, gestore de Il Borgo agli inquirenti riferendosi ai primi momenti in cui i Coppolino proprietari dei locali li offrivano a loro in affitto. Mentre la moglie di Rizzo, Concetta Lizzio, ha raccontato: “Mi dissero che potevo aprire una botola presente nella piazzetta per prendere dell’acqua in quanto vi era un pozzo”.
Una piazza in pieno centro storico, tra il Palazzo comunale e di fronte al Teatro Mandanici, in un quartiere che “doveva essere oggetto di riqualificazione”, per il quale era previsto un finanziamento pubblico, e che doveva quindi essere soggetta a controlli. Eppure: “Non ricordo di alcun controllo nel periodo dei lavori”, dichiara ancora Rizzo. Due sopralluoghi furono poi fatti, a seguito di due esposti anonimi, ma sul come vennero fatti, si concentra l’attenzione del gip. Sono sopralluoghi brevi, superficiali ai quali partecipa, Angelo Coppolino, presenza curiosamente non verbalizzata dal vice comandante Salvatore Di Pietro, secondo il giudice sottoposto a pressioni: “Una specie di “ricatto”, posto che il Di Pietro mai avrebbe contestato illeciti edilizi all’artefice della sua futura promozione”. “Io ammetto che in questi sopralluoghi non ho fatto quasi nulla”, rivela agli investigatori, infatti, l’ispettore del Comune Filippo La Rosa.
Un primo cittadino “insofferente”: “Concreto ed attuale pericolo, nella permanenza della sua funzione apicale dell’Amministrazione comunale, di reiterazione di analoghe condotte delittuose, per l’insofferenza nei confronti di personaggi ritenuti non in linea con il suo modo di agire, sintomatica di una personalità non del tutto positiva ed incline ad abusare della funzione svolta”. Abuso d’ufficio, questa l’ipotesi dell’accusa per Materia, ma secondo il gip, non basta: “Riduttiva rispetto alla portata della complessiva condotta posta in essere nell’ambito della complessiva vicenda in esame, dovendosi approfondire il suo effettivo contributo di possibile coprotagonista ed ispiratore di alcune delle condotte contrarie agli interessi della pubblica amministrazione”.
Un Comune utilizzato come strumento privato a tutti gli effetti. Questo è quello che emerge dalle carte dell’inchiesta che è solo l’ultimo scandalo che si abbatte sul Comune siciliano.
Conosciuto da pochi, eppure ricco di storie di mafia, di cronaca giudiziaria e di quella Politica: è dopotutto la città di un vice presidente del Senato. Quel Mimmo Nania che si battè perché il Consiglio comunale non venisse sciolto, con lunghe interrogazioni parlamentari, con le quali chiedeva “se risulti che esiste una sola città in Italia che abbia stipulato due protocolli di legalità con la pe nonostante ciò sia stata sottoposta, dalla prefettura, come Barcellona PG, a due procedure di Accesso”.
L’ultimo accesso agli atti era stato richiesto dopo le denunce di Libera e dell’associazione Rita Atria, in seguito all’approvazione del Consiglio comunale della variante al Prg che avrebbe permesso di realizzare un mega parco commerciale di 18,4 ettari “in violazione – secondo le associazioni – delle norme vigenti in materia urbanistica”, un parco che avrebbe dovuto realizzare una ditta riconducibile a Rosario Pio Cattafi sul quale ancora pende giudizio sui suoi rapporti con la mafia
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