L’interrogativo corre sui media americani. Il presidente è razzista o semplicemente dice quello che nelle case e attorno alle tavole degli americani tutti dicono e pensano?Lunedi prossimo negli Stati Uniti sarà festa nazionale: il Martin Luther King Jr. Day, un giorno per ricordare l’ eroe delle battaglie per i diritti civili degli afroamericani,assassinato il 4 aprile di 50 anni fa. Trump nel proclamare la ricorrenza, con al fianco il nipote di King, ha sottolineato, facendolo suo, il messaggio forte del reverendo:”Tutti gli americani dovrebbero vivere liberi dall’ingiustizia e godere delle stesse opportunità, in quanto figli di Dio,” ….”la sua crociata contro la segregazione e la discriminazione ha reso la nostra Nazione, ha aggiunto,piu in linea con i valori e gli ideali della nostra Costituzione e della Dichiarazione di Indipendenza”. Discorso politically correct.
Poco dopo però Trump è tornato quello di sempre,cioè unpolitically correct e in un contesto completamente diverso, si è lasciato andare alle controverse affermazioni,su quei “cessi di paesi” da cui provengono molti immigrati. Perchè non dobbiamo preferire gente dalla Norvegia ha detto,lasciando chiaramente intendere che lui se li vuole scegliere gli immigrati. Il linguaggio è duro ed ha scatenato reazioni indignate dei suoi avversari politici e in tutto il mondo. Un gruppo di ambasciatori di paesi africani all’Onu ha chiesto le scuse ufficiali che non sono arrivate. Trump ha solo ritrattato dicendo di non avere mai pronunciato la parola “shithole” cesso, ma fa poca differenza. Il suo messaggio è chiaro e neanche nuovo. Trump è determinato a ridurre il numero di arrivi negli Stati Uniti. Le sue parole infiammano i fronti contrapposti ed entusiasmano gli xenofobi, ma come dice il nipote di Martin Luther King sul New York Times “ non credo che Trump sia un razzista nel senso tradizionale.
I suoi commenti, aggiunge,sono un altro esempio del suo modo di parlare senza conoscere i fatti”. Trump non ha un passato di difensore delle minoranze. Ha attaccato Obama mettendo in dubbio che fosse nato negli Stati Uniti; ha chiamato i messicani violentatori; ha proposto un bando contro gli arrivi da sette paesi musulmani; dopo le violenze di Charlottesville ha messo sullo stesso piano le azioni dei gruppi nazisti con quelle dei loro oppositori. Le nuove affermazioni sugli immigrati provenienti da quei “cessi di paesi” dimostrano non tanto il razzismo di Trump quanto il suo essere un presidente che non unisce e che non smorza le tensioni ma anzi le alimenta. Un gioco pericoloso, ma non c’è nulla di nuovo sotto il sole.
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