Tre anni dopo Charlie Hebdo, la Francia divisa tra “laicità dello stato” e “filo-islamismo”

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Tre anni dopo quel 7 e 9 gennaio nella redazione di Charlie Hebdo e l’Hyper Marchè Kosher, a Parigi, e dopo 241 morti, trucidati dai fondamentalisti islamici dell’ISIS, la società francese s’interroga sulle proprie divisioni ideologiche e religiose. E’ aumentato il numero di violenze contro esponenti delle comunità ebraiche, così come le descriminazioni contro i francesi di religione islamica. E il mondo intellettule e dei media d’oltralpe si è trovato su due schieramenti opposti, arrivando anche alle vie giudiziarie, tra “islamo-guachistes”, da una parte, e “islamophobies” dall’altra. Vittima sacrificale l’idea secolare che ha sempre fatto da collante nei momenti più tragici della Repubblica, la cosidetta “Laicità dello Stato”. Quello “spirito repubblicano” che portò a manifestare per le strade e le piazze di Parigi e delle maggiori città, milioni e milioni di persone: leader politici mondiali di sinistra e di destra, esponenti religiosi cristiani, islamici ed ebrei. Nel frattempo, la legislazione emergenziale è diventata una consuetudine insieme all’intrusione legalizzata nella privacy, nelle telecomunicazioni e nei social network.

Ma la beffa maggiore la sta subendo proprio Charlie Hebdo. “Tre anni dentro una scatola di conserve”, ha titolato il numero commemorativo della strage; e per rincarare la dose su una vita fatta di privazione della libertà di movimento di tutta la redazione superstite, costretta a vivere come “in uno stato di assedio”, il direttore Riss ha disegnato la porta di un bunker sulla quale c’è scritto “Charlie Hebdo” e da una finestrella semichiusa un personaggio stupito risponde lapidario: “Il calendario Daech? Abbiamo già dato”.

Ma quanto costa la sopravvivenza della libertà di espressione e di satira?

E chi paga la sicurezza dei redattori, dei disegnatori e degli impiegati di Charlie?

Ecco un’assurdità dovuta al disimpegno dello Stato nei confronti sia di un diritto fondamentale, come la libertà di stampa, sia del proprio dovere di tutelare la vita di cittadini tuttora presi di mira dai fondamentalisti, che con alcune centinaia di messaggi, email e post sui SocialNet ogni anno minacciano Charlie.

Il settimanale, ha denunciato Riss nel suo editoriale, deve sobbarcarsi personalmente le spese assicurative e di sorveglianza: all’incirca 1,5 milioni di euro l’anno. E per sostenere queste spese eccezionali deve riuscire a vendere “ogni settimana almeno 15 mila copie, ovvero circa 800 mila l’anno”. Ma nel frattempo i ricavi, dopo l’exploit di vendite nel 2015, sono passati da più di 60 milioni di euro ai 19,4 milioni dell’anno scorso. Un tracollo, che ha riportato la rivista satirica nell’alveo del suo pubblico abituale, ma che ovviamente non riuscirà nel prossimo futuro a farle sostenere i costi della “securizzazione”.

Sconsolato e polemico, Riss ha dovuto ammettere in un’intervista a Le Figaro: “La libertà di stampa, vitale e legata indissolubilmente alla nostra democrazia, sta per diventare un prodotto di lusso, come le auto sportive o i fiumi di diamanti a Place Vendome. Solo i giornali più fortunati e protetti da grandi editori potranno continuare a sopravvivere”.

Tre anni dopo, comunque, il clima è davvero cambiato attorno alla questione del fondamentalismo islamico. Le voci contrarie a chi si schierava apertamente con Charlie, in difesa della loro libertà di satira spesso “urticante”, a volte sconcertante, si sono rafforzate. Le divisioni maggiori si sono acuite all’interno del mondo intellettuale e politico di sinistra, mentre alla destra e al Front National è stata in pratica delegata la battaglia ideale e non solo per la “tolleranza zero” verso l’identitarismo islamico, i loro costumi (dal velo, al cibo nelle mense, ai protocolli ospedalieri, ai comportamenti misogeni sui posti di lavoro), ma anche nella campagna contro gli emigranti clandestini.

“L’unanimità repubblicana di quei giorni si è appassita, quasi svanita”, ha dichiarato il presidente della LICRA (Lega internazionale contro il razzismo e l’antisemitismo). Una conferma viene dal sondaggio condotto dall’IFOP: il 61% dei francesi ancora “si sente Charlie”, contro il 71% di un anno fa. E proprio su questo tema, sul fatto di difendere senza esitazioni “la laicità dello Stato” e di continuare a sentirsi “Sempre Charlie”, è stato anche organizzato sabato scorso un affollato dibattito al teatro delle Folies Bergere con la partecipazione di molti intellettuali, filosofi, saggisti e storici spesso accusati dagli ambienti della sinistra come degli “islamofobi”.

E in effetti uno scontro ideologico, culturale e anche giudiziario sta addirittura opponendo la redazione di Charlie a quella del sito di sinistra, specializzato in inchieste scandalistiche contro i “poteri forti”, Mediapart, diretto da Edwy Plenel. In un editoriale piuttosto polemico, Riss si è scagliato contro Plenel, che ultimamente aveva preso le parti del professore di storia dell’Islam, Tariq Ramadan, uno dei primi a dichiararsi “Io non sono Charlie”, in quanto la rivista praticherebbe un “umorismo sguaiato contro la comunità islamica”. Ramadan è quel professore sospeso dall’Università di Oxford, dove insegnava “Studi islamici contemporanei” e Filosofia, perché coinvolto in un scandalo di violenze sessuali e stupri nei confronti di alcune sue studentesse in Francia e in Svizzera. Mediapart lo ha sempre difeso come una vittima del clima di islamofobia, mentre la grande comunità islamica francese (quasi 6 milioni di fedeli) si è trincerata in un silenzio imbarazzante.

 “Quelli di Charlie, in pratica se la sono un po’ cercata” è il ritornello stonato che viene da questi ambienti non solo radicali, ma anche da molti “giovani giornalisti, fabbricati con lo stampo del relativismo culturale nelle scuole di giornalismo”, accusano alla redazione della rivista. Per Riss, inoltre: “Gli islamo-gauchistes fanno parte del paesaggio politico da tempo e non ci sorprendono più, perché rispondono a degli schemi ideologici talmente demagogici che fanno perdere loro qualsiasi credibilità. Come la sinistra tradizionale, incarnata dal Partito socialista, anche loro sono in piena decadenza. La crisi che attraversa la sinistra francese colpisce anche quella parte della sinistra che possiamo definire radicale o alternativa. Anche loro stanno per toccare il fondo”.

Il filosofo Pascal Bruckner, molto applaudito in questo dibattito, ha ringraziato Charlie perché in pratica “è riuscito a normalizzare l’Islam, cosa che invece non vogliono né gli islamo-gauchistes, per i quali l’Islam ha sostituito il concetto di Proletariato, né i religiosi fanatici”, aggiungendo poi con sarcasmo: “Forse che i cattolici e gli ebrei sono andati a tagliare le gole dei disegnatori satirici? No! Bisognerà un giorno erigere un monumento a Charlie con la scritta: A Charlie la patria riconoscente”.

Per Manuel Valls, ex primo ministro durante la presidenza Hollande, in prima linea per la difesa delle garanzie repubblicane, “la Laicità non è la negazione di un fatto religioso, una forma di anti-religiosità o di ostilità verso i culti, anche se c’è chi insidiosamente spinge per farlo credere. E’ al contrario un principio che vuole distinguere la sfera Temporale da quella Spirituale. La Laicità è la libertà di credere o di non credere; è libertà di coscienza, un diritto fondamentale a protezione della nostra Costituzione”.

Dalla parte opposta, il demografo Emmanuel Todd, che ha scritto una sorta di “libro rosso” intitolato “Chi è Charlie?”, secondo cui la grande manifestazione dell’11 gennaio 2015 fu “un momento di isteria collettiva”. Per lui la rivista avrebbe utilizzato la “blasfemia in modo ripetitivo e sistematico contro Maometto, personaggio centrale della religione di un gruppo debole e discriminato, e per questa ragione dovrebbe essere accusata di incitazione all’odo religioso, etnico e razziale dai tribunali”. E per queste ragioni lui si è sempre identificato con lo slogan “Io non sono Charlie”.

“La penso esattamente al contrario”, controbatte la scrittrice, giornalista ed esponente femminista di primo piano, Caroline Fourest, autrice di un libro-inchiesta proprio sull’attività discussa del professor Ramadan, dal titolo “Fratello Tariq”. Per la Fourest, “noi viviamo in un’epoca di rafforzamento degli integralismi religiosi e solo una visione vigilante della laicità, in sintonia con quella dei padri della legge del 1905, ci potrà proteggere. Il messaggio intrinseco di “Je suis Charlie” è molto semplice ed inclusivo: rifiutare che si possa morire per aver riso degli integralisti o aver parlato di religione”.


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