Sfoghi e ire di boss che si sentono intoccabili

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di Paolo Borrometi

E’ con un linguaggio, sempre diverso in base a condizioni spazio-temporali, che le mafie comunicano. E lo fanno, ovviamente, per trarre un vantaggio ed un potere permanente.
Se fino a qualche anno fa le mafie comunicavano con il suono delle armi (attenzione, in alcuni posti del nostro Paese è ancora così) e con la violenza, adesso lo fanno tramite Internet.
Così si passa dalla storica tradizione orale a quella scritta, con i “pizzini” di Provenzano che cambieranno radicalmente la comunicazione mafiosa dentro Cosa Nostra. La comunicazione diventa scritta per difendersi dalla tecnologia messa in campo dagli inquirenti, quella delle intercettazioni e dagli strumenti innovativi.
Le organizzazioni criminali di stampo mafioso hanno sempre investito tempo e denaro per comunicare, spesso interpretate dall’esterno come bizzarria: è il caso, per esempio, dei morti incaprettati o dei morti ammazzati e ritrovati con gli organi genitali in bocca (o con i “tappi”).
Mai dimenticare quando, anni fa, fu scoperta la comunicazione tramite gli sms inviati alla trasmissione televisiva “Quelli che il calcio” con messaggi cifrati.
Eppure lettere in codice, strizzatine d’occhio alle mogli in visita nei penitenziari o parole storpiate, sono state poco a poco interpretate dagli investigatori.
Oggi la nuova comunicazione avviene tramite Skype, tramite messaggerie istantanee codificate o anche tramite – come fanno i terroristi – piattaforme di gioco online. Molti messaggi però avvengono alla luce del sole su social network come Facebook.
Come non ricordare, mi duole il cuore nel farlo, l’ordine di ammazzarmi dato dal capomafia di Vittoria, Giambattista Ventura, proprio tramite il noto social network. Un messaggio che, se da un lato venne identificato come “lo sfogo momentaneo dettato dall’impeto d’ira”, dall’altro per le consorterie mafiose è efficacissimo perché permette di raggiungere un numero infinito di persone (fra cui sodali ed avvicinati delle associazioni mafiose stesse) senza rischiare più di tanto. Perché, appunto, considerati dagli stessi che reputavano “bizzarrie” i morti incaprettati, come messaggi dettati dall’ira e senza “vere” conseguenze.
Le forme di comunicazione mafiose si evolvono: così da un lato troviamo il figlio di Riina in tv a lanciare la promozione di un libro pieno di messaggi ambigui, dall’altro abbiamo la novità dei social network utilizzati a proprio piacimento per veicolare qualsiasi tipo di messaggio.
Combattere le mafie con la conoscenza vuol dire, proprio, tentare di capirne (e prevenirne) i linguaggi. Ancora una volta, nel caso dei social network, (oltre agli inquirenti) sono i giornalisti ad avere un ruolo fondamentale: quello di “scovare” nei profili dei boss, spesso pubblici, messaggi dal contenuto inequivocabile.
Perché fra “il detto e il non detto, spesso c’è una comunicazione delle mafie e dei mafiosi veloce e pericolosa, utilizzata da chi vuole comandare, ordinare, organizzare. O anche uccidere.

Da mafie


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