L’assoluzione, dinanzi al Tribunale di Roma, della giornalista Stefania Limiti, imputata per il reato previsto dall’art. 371 bis del codice penale (false informazioni al pubblico ministero) per non aver voluto rivelare, alla Procura di Caltanissetta, le fonti confidenziali del suo libro ‘Doppio livello’, (incentrato sulle false piste e su nuove ricostruzioni della strage di Capaci), anche a seguito dell’ordine del Gip dello stesso Tribunale di Caltanissetta, pone, di nuovo, alla nostra attenzione la questione della tutela delle fonti confidenziali.
Non entrerò nel merito della vicenda di Stefania Limiti, che ho assistito in Tribunale, anche perché nel caso specifico il Tribunale ha assolto la giornalista ai sensi dell’art. 129 del codice di procedura penale ritenendo (a seguito di una eccezione sollevata proprio dalla difesa) che la stessa pubblica accusa non fosse stata in grado di definire e provare, già nel capo di imputazione, i fatti attribuiti alla Limiti. La vicenda, pero’, e’ emblematica di una questione che, ancora oggi, e’ irrisolta: quella della tutela delle fonti confidenziali e, di conseguenza, rileva il tema del valore del segreto professionale dei giornalisti. Dunque: il codice deontologico dei giornalisti impone a questi ultimi di tutelare le proprie fonti, non rivelandole, e d’altronde la norma e’ posta a presidio dell’essenza stessa del giornalismo e del giornalismo investigativo in particolare. Che ne sarebbe di un giornalista e del giornalismo investigativo se le fonti non venissero tutelate infatti? Ed ancora, finanche lo stesso codice di procedura penale, all’articolo 200, prevede il segreto professionale (anche) in capo ai giornalisti, salvo prescrivere che lo stesso segreto venga meno ogni qualvolta le notizie (e dunque le fonti) siano necessarie ai fini della prova del reato.
E in questo punto che si nasconde il grimaldello troppo spesso utilizzato dai pubblici ministeri per ‘violare’ il segreto professionale dei giornalisti e trascinarli in giudizi che feriscono la stessa funzione della stampa libera. Troppe volte si impone ai giornalisti di svelare le proprie fonti (spesso per supplire anche a evidenti carenze investigative, peraltro) o si intraprendono azioni investigative (perquisizioni o sequestri) volte a individuare fonti e materiale comunque funzionali alle ‘inchieste’ giornalistiche. Tutto ciò in Italia, naturalmente. Perché la Corte europea di Strasburgo, in ossequio ai principi sanciti dalla CEDU, ha, in più sentenze, ribadito che il segreto professionale, nonché la tutela delle fonti, devono essere intesi in termini ‘onnicomprensivi’: da ciò ne deriva che sono illegittime tutte le attività che mirano, direttamente o indirettamente, a costringere il giornalista allo svelamento della fonte. In definitiva, dunque, i giudici europei ritengono che mai si può ordinare al giornalista (se non nel caso limite di pericolo -imminente – per la sicurezza nazionale) di svelare la propria fonte; dunque, la seconda parte dell’articolo 200 del codice di procedura penale sarebbe inequivocabilmente incompatibile con la giurisprudenza comunitaria e, di più, si potrebbe perfino sostenere che tra lo stesso articolo 200 e la norma del codice deontologico dei giornalisti ci sia una frattura che può spiegarsi soltanto attribuendo alla seconda parte dell’articolo 200 (quella che prevede la rivelazione della fonte) una funzione del tutto residuale ed in linea con quella data dai giudici comunitari che è distante, però, anni luce da quella che a tale funzione e’ attribuita da (troppi) pubblici ministeri italiani. Ed infatti, e’ del tutto evidente che i giornalisti non possano supplire alle carenze investigative degli uffici della Procura, ed è altrettanto evidente che, stante il ruolo della libera stampa in una Democrazia liberale, non si può ritenere che una inchiesta giudiziaria (fermo restando le questioni afferenti alla sicurezza nazionale) possa fare strali dello stato di diritto e dei principi che lo determinano, e fra questi, appunto, quello della stampa come vero (contro) Potere.
E’ necessario, a mio avviso, che fra gli operatori del diritto, anzitutto la magistratura, si apra una discussione seria sul rispetto del segreto professionale del giornalista, sulla giurisprudenza comunitaria che, di fatto, lo tutela in maniera preponderante e (quasi) assoluta nonché sul ruolo della libera stampa che non può essere ‘sacrificato’ sull’altare di una (malintesa, peraltro) esigenza investigativa. Bisogna, infatti, ammettere che ampia parte della magistratura, su queste questioni, ha ancora una visione assai conservatrice e poco liberale nei confronti della stampa e del giornalismo investigativo ed e’ dunque ormai impellente la necessità che il nodo venga al più presto affrontato. Per questo, spetta a noi tutti, operatori del diritto e non solo, porre la questione della tutela del ruolo, libero e autonomo, della stampa come questione di assoluta rilevanza democratica, soprattutto a seguito di fin troppi episodi in cui il giornalismo finisce nelle mire di azioni della magistratura che ne sviliscono il ruolo e la funzione.