Seguo il dibattito su qualità, missione, finanziamento e governance della RAI con la passione di chi in un servizio pubblico ha lavorato per vent’anni e il distacco di chi ha smesso di lavorarci e non vive più in Italia da decenni. Devo comunque premettere a questo breve commento che lo faccio a titolo puramente personale, e assolutamente non in virtù del mio attuale incarico o in nome dell’istituzione per cui lavoro oggi.
Manco dall’Italia da molto e forse mi son perso qualcosa, ma il fatto che il PD proponesse l’abolizione del canone mi ha colto di sorpresa. Se è così, come mai si è speso tanto tempo ed energia per realizzare la buona riforma Giacomelli del canone in bolletta?
Abolire il canone sarebbe un errore irreparabile e segnerebbe la fine del servizio pubblico radiotelevisivo in Italia. Anzitutto le conseguenze sull’indipendenza dalla politica sarebbero infauste. La cosiddetta “fiscalizzazione” del finanziamento RAI aumenterebbe la dipendenza del servizio pubblico dagli umori del giorno di partiti, governo e parlamento. A ogni voto sulla finanziaria il finanziamento della RAI diventerebbe ostaggio di battaglie parlamentari, calendari elettorali, trattative, mercanteggi e negoziati che con media e servizio pubblico non avrebbero nulla a che fare. Abolire il canone e finanziare il servizio pubblico attraverso la legge di finanza vorrebbe dire far entrare la politica nella RAI ancor più di oggi.
Nel dibattito sulla RAI si invoca spesso il “modello BBC”. La BBC non è perfetta, ma è senz’altro l’esempio migliore e più indipendente di servizio pubblico che sia dato osservare. Molti fattori contribuiscono, primo fra tutti la cultura d’impresa. Ma il sistema di finanziamento – un canone fissato per molti anni, alto abbastanza (quasi 200 euro allo stato attuale) da permettere alla BBC di fare ottima televisione in tutti i generi senza dover far ricorso alla pubblicità – è al centro di quel modello. Il canone serve a ridurre i rischi finanziari e a permettere di correre più rischi “creativi”: più innovazione, più programmazione diversa dalla TV finanziata dalla pubblicità. Il sistema di finanziamento ha più importanza della proprietà- pubblica o privata – del servizio pubblico: alla fine la vera differenza è tra programmi prodotti attraverso un finanziamento sicuro e sufficiente e programmi che dipendono direttamente dallo share giorno per giorno. L’idea di un servizio pubblico finanziato esclusivamente dalla pubblicità funziona solo in presenza di un servizio pubblico a finanziamento pubblico molto forte – penso a Channel 4 nel paese della BBC. Funziona perchè è la BBC a segnare gli standard di qualità, e la concorrenza deve adeguarsi o perdere audience.
Per questo sarei a favore, a quanto pare controcorrente rispetto allo spirito dei tempi, di un canone più alto e la graduale riduzione/rinuncia alla pubblicità per la Rai. Il beneficio per lo spettatore sarebbe duplice: migliorerebbe il servizio pubblico, e migliorerebbe per riflesso anche la concorrenza commerciale, che dovrebbe concorrere su un piano più alto di qualità e innovazione.
Ovunque si sia fatto, fiscalizzare il finanziamento ha reso il servizio pubblico più succube della politica del governo del giorno, e ha portato all’erosione graduale delle sue risorse. E una volta abolito, il canone non potrebbe mai essere reintrodotto. Se si imbocca questa strada, temo si debba abbandonare la speranza che la programmazione RAI possa diventare più “diversa” e caratteristica di un servizio pubblico, e che la RAI possa diventare più indipendente dalla politica. E certamente non ci si potrà più riempire la bocca del “modello BBC”.