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Perché è difficile combattere le fake news

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Le fake news, le notizie false, sono un problema serio per le democrazie che attingono la loro linfa vitale dall’opinione pubblica che si forma sulla diffusione e discussione di notizie di rilevanza collettiva. Il pericolo è noto: attraverso le notizie false è possibile manipolare l’opinione pubblica e orientare le decisioni di governi, delegittimare personalità e Istituzioni e inquinare perfino il dibattito scientifico.
Le fake news sarebbero responsabili della sconfitta di Hillary Clinton nella corsa alla Casa Bianca, frutto di una velenosa strategia di dinsinformazione che ha favorito tra le altre, la diffusione della notizia, falsa, che la ex first lady gestiva un giro di pedofilia nello scantinato di una pizzeria nell’Indiana.
Le fake news sarebbero però anche le opinioni sfavorevoli alle politiche di Trump il quale ha deciso di premiare le testate giornalistiche secondo lui più attive nella produzione di notizie false che lo riguardano: New York Times, Washington Post, Cnn.

Mentre i giornali attaccati da Trump hanno potuto esibire i loro anticorpi riconoscendo la pubblicazione di notizie imprecise o non adeguatamente verificate, abbiamo scoperto che le fake news della campagna anti-Clinton venivano prodotte da vere e proprie centrali di disinformazione facenti capo a uomini vicini al presidente russo Putin e a migliaia di fake account poi rimossi da Facebook e Twitter.

Questo vuol dire che è possibile contrastare le fake news. E questa è la prima buona notizia. Quella cattiva è la difficoltà di individuarle.

Le fake news, per capirci, sono notizie, cioè fatti raccontati, informazioni “pubblicate” da qualcuno, da qualche parte. In questo senso, anche se pubblicate dai giornali o sul web, le opinioni non sono fake news, la satira non è fake news, la critica – e il diritto di esercitarla – non è fake news. A patto che chi vede, ascolta o  legge le news ne sia consapevole. E qui viene la prima brutta notizia. Le persone non sono capaci di riconoscere le notizie vere da quelle false. Il motivo è presto detto: le fake news sono sempre un misto di vero e di falso, sono spesso notizie verosimili, verità parziali e orientate e quando sono notizie palesemente non vere in genere rappresentano fatti non controverbili perché non verificabili.

La secondo brutta notizia è che le persone vogliono credere alle notizie false. Questo accade quando le notizie confermano i propri pregiudizi, consentono di spiegare fatti complessi senza sforzo, legittimano orientamenti politici e culturali preesistenti, producono un vantaggio nel gruppo di appartenenza. Sono tutti effetti noti in letteratura come “confirmation bias”, il pregiudizio di conferma, “effetto bandwagon”, quando ci si adegua alla maggioranza e si appoggiano le tesi del “vincitore”, quando favoriscono le “echo chambers” (le casse di risonanza) prodotte dalla “filter bubble”, la tendenza ad aggregarsi e fidarsi delle persone a noi più simili perché più vicine. Tutti effetti di un overload informativo che ci porta a semplificare e banalizzare il mondo circostante.

Se a questi “bias cognitivi” aggiungiamo la guerra dell’attenzione che i media combattono a colpi di fatti sensazionalistici e titoli strillati, se ci aggiungiamo la personalizzazione estrema dell’informazione prodotta dalla nostra interazione quotidiana con gli algoritmi predittivi dei motori di ricerca e dei social network – se hai cliccato una certa notizia sarai pronto a cliccarne una simile e per questo te la presento prima di altre -, capiamo che le fake news non sono un fenomeno da sottovalutare perché siamo noi, il pubblico, che vogliamo crederci.
È un principio basilare di economica cognitiva, ma anche frutto della tendenza tutta umana ad avere sempre ragione (cfr. Maurizio Ferraris, 2017) che facilita l’omofilia (stiamo insieme a chi ci somiglia e ci da ragione), e i “backfire effects”, cioè quando si reagisce aggressivamente a chi non ci somiglia e a ciò che è lontano dalle proprie credenze.

 

Di chi è la colpa

Se non ci vogliamo nascondere dietro a un dito dobbiamo accettare l’idea che le fake news sono il frutto avvelenato della democrazia dei pareri (cfr. Carlo Infante, 2015), instauratasi coi blog e i social network che ci consentono di dire tutto e il contrario di tutto a discapito di ogni criterio di decenza, rispetto e oggettività. Ma esse sono anche il frutto di decenni in cui le Istituzioni hanno gettato nel ridicolo la loro funzione sociale, normativa, di regolazione e filtro dei conflitti che animano la società. Sono il frutto di quei media che hanno abbandonato la loro funzione di manutenzione dei valori civili, di watchdog della democrazia, annacquato la critica del potere e favorito interessi di pochi a svantaggio dei molti. Sono il frutto di una mutazione strutturale delle audience che ormai sono globali, frammentate e capaci di criticare l’establishment mediatico grazie al web-publishing e alla possibilità di porsi sullo stesso piano di quello che era il Quarto Potere.
L’effetto Dunning Kruger è una delle risposte più evidenti a questa crisi di legittimità dei media e delle Istituzioni. L’effetto ci parla di una distorsione cognitiva per la quale individui poco esperti in un campo tendono a sopravvalutare le proprie abilità autovalutandosi, a torto, esperti in materia (cfr. Wikipedia)
Gli antidoti

Le fake news possono essere contrastate. Ma come si fa a capire se una notizia è una bufala? In genere le fake news sono notizie verosimili, talvolta romanzate e condite da particolari curiosi o singolari. Qui è la nostra dotazione culturale e la conoscenza dei fatti del mondo che devono venirci in aiuto. Ma ci sono anche altri modi per stabilire quando ci troviamo di fronte a una fake news. E fanno tutti perno sulla media literacy di chi le notizie le legge o le ascolta.

Per questo “promuovere diverse e credibili fonti di informazione attraverso tutti i media, inclusi i social network, proteggere gli intermediari da ogni forma di responsabilità per i contenuti pubblicati dagli utenti, promuovere l’alfabetizzazione all’uso dei media e del digitale e diffondere – anche a livello governativo – informazioni affidabili sulle materie di pubblico interesse sono la base di contrasto alle fake news.” (cfr. Guido Scorza, 2017).

Pluralismo dei media, fact checking, alfabetizzazione all’informazione, lotta all’analfabetismo funzionale, sono le risorse a cui appellarsi per combattere la disinformazione che fa perno sulle fake news. Spetta ai giornalisti verificare i fatti, alla Scuola spettano la formazione e l’educazione allo spirito critico, alle Istituzioni di intervenire per ridurre la rabbia sociale e alle Autorità di Garanzia il compito di far rispettare il diritto-dovere all’informazione, nella consapevolezza che sarà una battaglia impari e di lunga lena.

Altri tentativi, apparentemente a portata di mano, come la task force voluta dal ministro Minniti, possono essere utili per colpire le centrali della disinformazione, ma senza la collaborazione preventiva di tutti quei soggetti sono destinati a fallire.


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