Un’escalation di nuove violenze sta scuotendo la Repubblica Centrafricana nonostante la presenza di una missione delle Nazioni Unite dispiegata per favorire la stabilizzzione nel Paese.
Seppure l’intensità del conflitto civile in alcune aree sia diminuita, nell’entrotera resta alta la tensione e poco riescono a fare i caschi blu schierati a sostegno del governo presieduto da Faustin-Archange Touadéra, il primo capo di Stato democraticamente eletto dopo il golpe che nel 2013 aveva deposto il presidente François Bozizé.
Il Movimento Nazionale per la Liberazione della Repubblica Centrafricana (MNLC) e il gruppo Rivoluzione e Giustizia (RJ) hanno animato combattimenti che lo scorso 27 dicembre hanno costretto alla fuga circa 30.000 persone.
La situazione è andata deteriorandosi in maniera significativa durante la seconda metà del 2017. Gli scontri armati e gli attacchi nei confronti delle organizzazioni umanitarie e dei peacekeepers hanno provocato un aumento del 50% nel numero degli sfollati interni, portando il totale dai 400.000 di maggio ai 600.000 della fine dell’anno. Il numero complessivo dei rifugiati è il più alto mai registrato finora, circa un quarto dell’intera popolazione, che si assesta sui 4,6 milioni.
Oltre 1,7 milioni di persone hanno urgente bisogno di assistenza e il 20% ha perso la propria casa.
La diffusa mancanza di sicurezza rende arduo ogni tentativo di soccorso da parte delle ong nei confronti dei civili.
Il Centrafrica è inoltre ancora minacciato dalle milizie fuoriuscite della coalizione ribelle Seleka che aveva rovesciato il regime Bozizé. Nonostante il conflitto civile sembrasse ridotto a violenze regionali il Paese è ancora scosso da scontri tra fazioni contrapposte e continui attentati.
E non è da escludere un nuovo tentativo dei ribelli di provare a riprendere Bangui, la capitale, mentre la paura dilaga e l’incertezza prolifera.
I missionari italiani che da anni vivono nella Repubblica Centrafricana, come padre Aurelio Gazzera, raccontano che neanche le chiese o altri luoghi religiosi sono più sicuri e che gruppi di miliziani fanno di continuo irruzione minacciando i fedeli costringendoli a consegnare i propri averi e le chiavi delle loro auto o altri mezzi di trasporto.
La scorsa settimana l’ultimo di una lunga serie di episodi che testimoniano la gravità del momento.
Un gruppo di islamici ha attaccato diversi villaggi nella parte centrale del Paese uccidendo in poche ore decine e decine di persone.
I problemi sono iniziati quando i pastori musulmani si sono accorti che molti capi del loro bestiame erano stati rubati. Per rappresaglia hanno saccheggiato con l’aiuto dei ribelli le comunità cristiane ritenute responsabili del furto.
Le organizzazioni non governative che operano sul terreno hanno rivolto un appello alla comunità internazionale.
Oxfam, in particolare, ha sottolineato che il conflitto ha determinato negli ultimi anni un quadro drammatico: tra ripetute ed estese violazioni dei diritti umani, omicidi, distruzione di proprietà e perdita dei mezzi basilari di sussistenza per le famiglie.
L’estesa carenza di cibo potrebbe ulteriormente peggiorare la crisi con l’aumento degli sfollati e la risposta all’emergenza sempre meno adeguata.
Tutto questo nella totale indifferenza mediatica italiana. La Repubblica Centrafricana, abbandonata al suo destino e lasciata in un cono d’ombra come evidenziato nell’ultimo rapporto dell’Osservatorio di Pavia sulle crisi dimenticate, è stata presente in soli due servizi nei tg nazionali in tutto il 2017.