Dai dati rilevati dal Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione, fino al 29 dicembre 2017 sono sbarcati sulle coste italiane 119.310 migranti nel tentativo e nella speranza di vivere una vita migliore. Il 33,86% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Circa 60.000 persone in meno i cui destini vengono costantemente e coscientemente ignorati dal nostro governo e dal Ministro dell’Interno, il quale si limita a commentare la situazione con un inverosimile “La luce in fondo al tunnel”.
Il 2017, dunque, si chiude con la più atroce delle conferme: i diritti umani, e il loro rispetto, sono per i nostri politicanti solo parole vuote; le migliaia di uomini e donne e minori che ogni giorno cercano di raggiungere l’Europa nel tentativo di sfuggire a persecuzioni, guerre e miseria diventano carne da macello da vendere a piacimento, e secondo le convenienze, nell’agorà del mercato elettorale.
Il Ministro dell’Interno sa bene che quelle 60.000 persone sono state verosimilmente arrestate e rinchiuse nei centri di detenzione libici, sia quelli “ufficiali” del governo Sarraj, sia quelli “ufficiosi” gestiti dalle mafie e dai clan locali. Minniti e Gentiloni sono ovviamente a conoscenza del fatto che la Libia è un paese non firmatario della Convenzione di Ginevra e che da anni ha istituito veri e propri lager dove la violenza, le torture, gli stupri sono all’ordine del giorno; dove i trafficanti di esseri umani praticano indisturbati sotto gli occhi dei Governi europei il businness del commercio umano, potendo contare sul silenzio di un’Europa complice delle violazioni e terrorizzata dai flussi migratori. Minniti ha attentamente e meticolosamente favorito e messo in atto uno dei più importanti stermini degli ultimi tempi. Secondo l’OIM (progetto Missing Migrants), infatti, nel solo 2017 sono morti 3.116 migranti nel mediterraneo (2.831 nel tentativo di raggiungere le coste italiane), 4 nelle regioni nord occidentali della penisola italiana (nel tentativo di raggiungere la Francia) e 4 in quelle nord orientali, mentre altre 99 persone hanno perso la vita in Libia per “excessive physical abuse“.
In questo contesto si chiude, dunque, il 2017. L’anno della legge n. 46 del 13 aprile , la cosiddetta Minniti-Orlando, che ha sostanzialmente compresso i diritti dell’individuo. La legge rappresenta, infatti, la punta dell’iceberg di un sistema repressivo estremo che stringe la sua morsa intorno a chi lotta per una società più giusta e, al contempo, criminalizza quei settori sociali che risultano indesiderabili e indecorosi. E indesiderabili e indecorosi sono i migranti, per i quali vengono istituiti 26 tribunali ordinari di sezioni specializzate, dando vita di fatto ad una giustizia a due corsie. Si elimina il dovere del giudice di ascoltare il richiedente asilo qualora lo stesso faccia ricorso avverso un esito negativo della Commissione territoriale competente, e si sopprime il secondo grado di giudizio. La legge Minniti, in nome della lotta all’immigrazione clandestina, e al fine di rimandare a casa quanti più “irregolari” possibile, istituisce in ogni regione italiana i cosiddetti Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR), moderni lager etnici che, in perfetta continuità con i Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE) tratterrà in regime carcerario tutti coloro che si saranno macchiati del “reato amministrativo”, istituito dalla L.94/2009; che stanzia milioni di euro per i rimpatri forzati negli inferni dai quali i richiedenti asilo scappano, firmando la loro condanna a morte.
L’anno degli accordi italo-libici, in cui l’Italia, estendendo la validità del primo trattato di amicizia tra l’Italia e la Libia, sottoscritto nel 2008 dall’allora Ministro dell’Interno Maroni con il governo Gheddafi, e rinnovato nel 2012 dalla Ministra Cancellieri, ha stretto accordi con un governo che non ha nè il sostegno popolare nè il controllo del territorio. Il trattato prevede che l’Italia finanzi infrastrutture per il contrasto all’immigrazione irregolare, formi il personale e fornisca assistenza tecnica alla guardia costiera libica: il premier Sarraj ha richiesto 10 navi, 10 motovedette, 4 elicotteri, 24 gommoni, 10 ambulanze, 30 jeep, 15 automobili, 30 telefoni satellitari, mute da sub, binocoli diurni e notturni, bombole per ossigeno. L’equivalente di 800 milioni di euro (soldi verosimilmente prelevati dai finanziamenti per la cooperazione con l’Africa, in contrasto con gli obiettivi previsti dagli stessi finanziamenti). Ma oggi, nella Libia in costante guerra civile, chi deve pattugliare le coste e controllare le frontiere è direttamente coinvolto nel traffico di uomini. Lo gestisce, e ci guadagna. Secondo un rapporto ONU del 1 giugno 2017 il capo della Guardia costiera di Zawiyah, una città vicino a Sabratha, è contemporaneamente a capo di una milizia in combutta coi trafficanti.
Il 6 novembre una nave dell’ONG tedesca Sea Watch, durante una delle operazioni di soccorso a 30 miglia dalle coste libiche, ha documentato e denunciato la condotta violenta dei guardacoste libici verso i migranti appena soccorsi. Durante l’operazione, i libici non hanno calato i gommoni per il salvataggio, hanno lasciato annegare un uomo in mare e hanno ostacolato l’intervento della nave dell’ong tedesca lanciando contro la stessa patate, senza preoccuparsi di chi fosse ancora in acqua. Gennaro Giudetti, uno dei volontari a bordo della Sea Watch, ha raccontato che almeno trenta persone sono morte davanti agli occhi dei soccorritori, mentre i libici frustavano, picchiavano e prendevano a bastonate le persone a bordo della loro motovedetta (donata dal governo italiano) che cercavano di buttarsi in mare per arrivare verso la nave della ong tedesca. Tra i morti un bambino di due anni, il cui corpo è stato recuperato dallo stesso Giudetti.
Ma impedire a migliaia di disperati la partenza verso paesi potenzialemente più sicuri significa in questo caso condannarli ad un destino atroce. Un destino fatto della schiavitù, degli stupri, delle violenze, degli omicidi documentati da numerose inchieste giornalistiche che tanto scalpore hanno suscitato in numerose nazioni europee (il presidente francese Macron in seguito all’inchiesta della CNN ha chiesto una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU), fuorchè in Italia. Il 14 novembre scorso, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Zeid Ra’ad Al Hussein, ha commentato le politiche dell’Unione Europea e dell’Italia a sostegno dei Centri di detenzione in Libia e della Guardia Costiera Libica nell’intercettazione e nel respingimento dei migranti nel Mediterraneo come “un oltraggio alla coscienza dell’umanità“.
L’Italia ha, dunque, deciso di stringere accordi con un Paese in cui le vittime umane non contano nulla e dove i diritti umani non sono neanche un “compromesso“. In palese violazione dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra (non firmato dalla Libia), in cui si prevede che “nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza ad un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.”
L’anno dei presunti accordi con milizie libiche, così come riportato dall’agenzia americana Associated Press, che cita numerose testimonianze, tra le quali anche quella di un portavoce delle stesse, puntualmente smentiti dalla Farnesina. La Associated Press parla di due milizie coinvolte con base a Sabrata: la Brigata 48, che l’agenzia di stampa britannica Reuters aveva già indicato come struttura che materialmente impediva ai barconi carichi di migranti di prendere il mare, dietro finanzaimenti ricevuti direttamente dal governo di Tripoli, e la Al Ammu, che si occuperebbe dal 2015 della sorveglianza dell’impianto petrolifero di Melitah che l’ENI gestisce con la National Oil Corporation libica.
Secondo quanto affermato da Bashir Ibrahim, definito dalla Associated Press come il portavoce di Al Ammu, e confermato da Abdel Slam Helal Mohammed, un dirigente del Ministero degli Interni del governo di Tripoli, le milizie avrebbero raggiunto un accordo “verbale” con il governo italiano saltando a piè pari la mediazione del governo Sarraj. “Come contropartita ricevono attrezzature, barche e stipendi“, ha spiegato Ibrahim.
L’anno della contemporanea criminilazzazione delle ONG che operano nel Mediterraneo, alle quali è stato imposto un Codice di Condotta verosimilmente mirato a “sgomberare” il Mediterraneo dalle Organizzazioni Umanitarie tanto sgradite al governo libico di Sarraj. Abbiamo consegnato alla Guardia Costiera libica, da noi ulteriormente addestrata e rifornita anche e non solo di mezzi navali, il controllo armato delle coste e del tratto di Mar Mediterraneo e la relativa giurisdizione sulle barche, i pescherecci, i gommoni ed i barconi sui quali viaggiano i migranti in fuga, ignari che la loro sarà solo una partenza fasulla, che verrà pagata a caro prezzo e che non li porterà in Europa ma li rimanderà in Libia. Il giro della morte. Sarà la Guardia Costiera ad autorizzare le navi ad entrare nella nuova zona di SAR, Guardia Costiera vera o millantata pronta a sparare non sui trafficanti collusi ma sulle navi delle associazioni umanitarie indipendenti.
L’anno delle circolari ministeriali dedite a creare sempre più irregolari sul territorio nazionale. La Circolare n. 5 del 18 maggio 2017 della Direzione Centrale per i Servizi Demografici del Ministero dell’Interno, richiamante l’art.8 del D.L. 17/02/2017, infatti, introduce una speciale procedura di cancellazione della residenza anagrafica dei richiedenti asilo, ma contestualmente, conferma il diritto all’iscrizione in anagrafe dei cittadini stranieri in ogni struttura di accoglienza, così come già previsto nella normativa in vigore.
Un anno in cui, ad ogni modo, la “malaccoglienza” italiana, per la quale il nostro Stato è stato più volte richiamato e condannato dall’Unione Europea e dalla Corte Europea per i Diritti Umani, non si è fatta desiderare. Sono continuati, infatti, le carenze/assenze di servizi, gli abusi di operatori e gestori dei centri di accoglienza, le proteste dei migranti ospiti, le gestioni affidate a clan mafiosi/ndranghetistii e/o a loro affiliati, le morti imputabili a mancata assistenza sanitaria o a una “giustizia fai da te” da parte di cittadini esasperati da un clima di tensione e di odio minuziosamente e tenacemente alimentato. un’emergenza nell’accoglienza che dura da 8 anni senza che mai si sia anche solo provato a pensare e costruire un sistema diverso.
Questa campagna e le associazioni che ne fanno parte monitorano e denunciano da anni le inadempienze del sistema. È necessario lavorare sul serio a soluzioni in grado di salvaguardare i diritti delle persone che non siano meri slogan.
Questo è stato l’anno nel quale la campagna LasciateCIEntrare ha divulgato “un’atto d’accusa” sula gestione delle politiche migratorie che l’Italia, con o senza Unione Europea, sta conducendo “contro” i diritti di milioni di uomini e donne e minori migranti e rifugiati. Non basta un volo umanitario per scaricarsi le responsabilità di fronte all’opinione pubblica.
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