Temo che l’avvocato Davide Steccanella sia caduto in banali amnesie e, probabilmente, in paradossali errori di valutazione quando ha scritto per “Articolo 21
” una nota intitolata
“Nessuna nuova verità sull’omicidio di Walter Tobagi”. Steccanella afferma di essere stato presente motivato da
“personale interesse storico
” alla conferenza stampa del 16 gennaio scorso con la partecipazione di oltre 50 giornalisti ai quali, su richiesta, è stata consegnata tutta la documentazione di nuovi elementi sul caso Tobagi. Davvero curioso questo
“interesse storico
” dal momento che non ha minimamente preso in considerazione la portata dei documenti presentati, e fino a quel momento inediti. Oppure, ancor più gravemente, nella sua nota si è
“dimenticato
” di quanto effettivamente contengono.
Essendo però la vicenda molto seria e sicuramente grave perché riguarda l’assassinio preannunciato e non sventato del giornalista Walter Tobagi è bene fare fino in fondo chiarezza, ripercorrendo i punti principali trattati.
1) Nell’incontro con i giornalisti è stato presentato un appunto riservato di ben 6 pagine dattiloscritte consegnato all’allora colonnello Niccolò Bozzo, braccio destro del generale Dalla Chiesa, nel caso in cui avesse deposto al processo d’appello su Tobagi. In realtà, stranamente, il colonnello Bozzo non è stato chiamato a deporre in tribunale. Però ha conservato questo documento che contiene precise indicazioni sui fatti che non avrebbe dovuto rendere noti nella sua eventuale deposizione. E quelli che invece avrebbe dovuto sottolineare davanti ai magistrati per dimostrare il buon andamento delle indagini. Questo documento doveva rimanere per sempre segreto nell’intento dello scrivente, l’allora capitano Umberto Bonaventura che coordinava le indagini del nucleo antiterrorismo dei carabinieri di Milano.
2)
In questo documento si fa notare che, per precisa scelta strategica di Bonaventura, Tobagi non venne mi avvisato che lui, e solo lui, era l
’obiettivo di un gruppo di fuoco terrorista. Scelta di Bonaventura in quanto non riteneva fondata la notizia della
“fonte confidenziale
” che con largo anticipo, cioè sei mesi prima del delitto, aveva annunciato:
“un gruppo di fuoco sta operando in via Solari dove abita Tobagi. Si tratta di un vecchio obiettivo delle Fcc
” (Formazioni comunista combattenti). Ebbene, finora gli inquirenti hanno sempre sostenuto che Tobagi venne avvisato e rifiutò la scorta. E questo documento di Bonaventura li smentisce clamorosamente. C
’è di più: soltanto dopo sole 70 ore dal delitto un altro documento presentato in conferenza stampa, finora inedito e non presente negli atti processuali, dimostra che la
‘notizia non fondata’ trova fondamento: i carabinieri puntano al capo della banda, Marco Barbone. Dapprima controllano dove abita, cioè in
via Solferino 34 a Milano, e dopo una settimana. cominciano i suoi pedinamenti. Un successivo altro documento dimostra che venne anche chiesta l’intercettazione della linea telefonica del Barbone.
3) Steccanella sostiene che queste prime iniziative d’indagine portarono scarse conferme ma che gli inquirenti hanno successivamente e finalmente trovato la chiave per incastrare definitivamente Barbone. E questo grazie ad una richiesta di perizia calligrafica la cui conferma arrivò a Milano nel settembre 1980, quattro mesi dopo il delitto. In sostanza si riferisce a una vicenda dell’estate 1979 quando vennero recapitate a molti giornalisti alcune buste contenenti il testo di rivendicazione dell’attentato durante il quale erano state incendiate alcune auto del Corriere della sera. Attentato a firma Guerriglia rossa. La rivendicazione è scritta a macchina ma sulle buste sono scritti a mano i nomi dei giornalisti. Per gli inquirenti, e Steccanella conferma, la calligrafia sulle busta è di Barbone perché molto somigliante a quella di documenti trovati nel covo delle Fcc in via Negroli nel 1978. Dunque, stando agli inquirenti, come annuncia Steccanella, chi ha scritto sulle buste di Guerriglia Rossa non può che essere Barbone. Ma in questo caso la beffa è dietro l’angolo: su quelle buste così ‘illuminanti’ le scritture a mano sono in carattere stampatello. Come siano riuscite a compararle con la calligrafia di Barbone potrebbe sembrar una ridicola barzelletta, ma in questa vicenda c’è davvero poco da ridere.
4) Marco Barbone confessa di aver ammazzato Walter Tobagi il 4 ottobre 1980. Così risulta agli atti processuali e la procura di Milano aveva commentato (abbiamo consegnato anche questi documenti) il proprio stupore per l’inaspettata confessione aggiungendo in un comunicato ufficiale, distribuito il 17 dicembre 1983, che era da considerarsi “destituita di ogni fondamento l’ipotesi che gli investigatori, e tanto meno i magistrati, disponessero di elementi di prova, indizi o di note confidenziali a carico di Barbone in ordine dell’omicidio di Walter Tobagi prima della confessione dello stesso”. Ebbene, tra le varie amnesie dell’avvocato Staccanella c’è anche la consegna ai giornalisti presenti delle fotocopie del quotidiano l’Occhio che due settimane prima della spontanea e sorprendente confessione di Barbone ha pubblicato (siamo al 25 settembre, cioè il giorno dopo il suo arresto perché sospettato di una rapina) “Preso Barbone per l’omicidio di Tobagi, le indagini proseguono a Varese”. Guarda caso proprio da Varese arrivava Rocco Ricciardi, cioè la fonte confidenziale che aveva annunciato il piano per ammazzare Tobagi, proprio quel Rocco Ricciardi che conosceva molto bene Marco Barbone perché due anni prima, insieme al futuro killer, aveva organizzato un piano per sequestrare il giornalista. Sono state soltanto inquietanti ‘visioni’ le notizie pubblicate da ‘L’Occhio’? Forse per l’avvocato Staccanella che non ha citato nemmeno questo episodio per ‘dimenticanza’ o peggio per scarsa attenzione ai documenti presentati in conferenza stampa. Ma a lui, evidentemente, interessava soltanto poter scrivere che non c’è stata “nessuna nuova verità sul caso Tobagi. Niente male per uno che si è proclamato “storicamente interessato” a questa tragedia.
Iscriviti alla Newsletter di Articolo21