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La mafia in Veneto: intervista a Paolo Borrometi

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Un anno dopo le inchieste giudiziarie, gli arresti e le condanne che hanno scosso l’amministrazione di Abano Terme, Paolo Borrometi, giornalista e presidente di Articolo 21, è intervenuto all’incontro “Legalità e cittadinanza attiva”, organizzato dall’associazione 35zero31 e da altre associazioni della bassa padovana. Nell’occasione, Borrometi ha risposto ad alcune domande sulla presenza della criminalità organizzata in Veneto

La maxi inchiesta della Procura di Catanzaro contro la ‘ndrangheta, il 9 gennaio scorso, ha portato a cinque arresti anche in Veneto, destando qualche stupore sulla presenza della criminalità organizzata in questa regione. Quanto sono radicate le mafie nel Veneto?
Io mi stupisco al contrario, per il fatto che qualcuno possa ancora dirsi sorpreso della presenza delle mafie nel Veneto. Si tratta di una presenza storica, che nasce con l’invio dei mafiosi al confino in questa regione. Il pentito Galatolo, negli anni ’90, ammetteva di comandare Cosa Nostra quando si trovava stabilmente a Venezia, i fratelli Graviano hanno fatto la propria latitanza in questa regione, investendo in attività ricettive ad Abano… Il Veneto è una terra ricca, e le mafie si nutrono di ricchezza, non di povertà. Qui in Veneto però c’è una mafia diversa, non c’è un controllo militare del territorio ma c’è un controllo economico. C’è una mafia in doppiopetto che reinveste i proventi illeciti che vengono dalle case madri, dal sud. Lo fanno la camorra, la mafia, e soprattutto la ‘ndrangheta, lo abbiamo visto con l’ultima inchiesta del procuratore Gratteri ma l’abbiamo visto anche in passato, quando un’inchiesta aveva toccato il mercato ortofrutticolo di Padova, dove delle ‘ndrine avevano cercato di inserirsi. Io penso che non bisogna avere paura di dire che in Veneto c’è la mafia, ci sono le mafie, servono cittadini consapevoli di quanto sta accadendo.

Le mafie dispongono di un’enorme liquidità derivante dalle attività illecite. Può esserci una relazione tra bisogno di liquidità di una parte del mondo dell’imprenditoria, in particolare a seguito delle crisi bancarie che hanno colpito pesantemente la regione, e presenza mafiosa?
Noi facciamo i giornalisti, analizziamo i fenomeni, non possiamo ricollegarli direttamente, sarebbe presuntuoso farlo. Basta vedere però l’ultima relazione della Direzione Investigativa Antimafia, che riguarda il 2016, che afferma proprio come nel bisogno di liquidità di questo territorio, con la crisi delle banche ma non solo, con la crisi che ha investito per intero il nostro Paese, le mafie abbiano portato la propria liquidità, reinvestendo. E’ chiaro che hanno colmato un’esigenza di denaro immediato, ma lo hanno fatto a che prezzo? Questa è la domanda che ci dobbiamo porre, e che riguarda ognuno di noi. Solo a partire dalla consapevolezza, dalla conoscenza del fenomeno possiamo affrontarlo.

Sei costretto a vivere sotto scorta per le inchieste che hai fatto nella tua regione, la Sicilia. Se dovessi dare un consiglio a colleghi giornalisti di altre regioni su come si fa inchiesta per far emergere il fenomeno criminale, cosa diresti loro?
Direi che innanzitutto bisogna concentrare l’attenzione su alcuni reati spia. Le mafie utilizzano reati come l’usura, le estorsioni, i fallimenti delle aziende, per inserirsi all’interno di un tessuto economico e sociale sano, come quello veneto ad esempio, contrassegnato da una stragrande maggioranza di imprenditori onesti, persone laboriose che hanno accumulato e reinvestito. Consiglierei di guardare questi reati spia, di analizzare bene il territorio, porsi delle domande e trovare le risposte.

Da poco sei presidente di Articolo 21. Quanto è stata importante la solidarietà dei colleghi per fare fronte agli attacchi che hai dovuto subire da parte delle organizzazioni criminali?
La solidarietà è stata fondamentale. Ringrazierò sempre il presidente della Repubblica per l’onore che mi diede, togliendomi da una situazione di totale isolamento con la nomina a cavaliere della Repubblica con un motu proprio, e i colleghi. Articolo 21 è stata da sempre la prima spalla su cui piangevo, quindi quando sono stato chiamato a questo ruolo per me importantissimo non ho potuto dire di no. Bisogna fare squadra, questo è l’unico modo per resistere a convinzioni sempre più dilaganti, che i giornalisti siano dei giornalai, all’insulto perenne, e poi bisogna ricordarsi che l’articolo 21 della Costituzione, il diritto dovere ad informare, esiste anche al contrario, in quanto diritto dei cittadini ad essere informati.


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