Siamo stati fra i primi, come Articolo21, ad indignarci per la richiesta fatta dall’editore del Giornale di Sicilia (riportata da “La Repubblica”) di non consentire la “messa in onda” della fiction su Mario Francese, subito seguiti dalla Fnsi.
Francese, emerge chiaramente dalla prima serata di Canale5, è stato un “giornalista giornalista”, cronista autentico che “non tirava mai indietro la gamba” (per utilizzare una metafora calcistica) quando c’era da approfondire fatti scottanti e fare nomi e cognomi che, non solo in quel periodo, spesso non trovavano posto sui giornali.
Da qui, però, ad arrivare alla semplificazione che “il Giornale di Sicilia fosse il quotidiano dei mafiosi”, c’è un abisso e sarebbe particolarmente ingeneroso per i tanti colleghi chi ci lavorarono (alcuni anche con una importante storia personale di lotte alla mafia, compresi molti “ex” del giornale “L’Ora”).
Sono d’accordo con la riflessione di Daniele Billitteri pubblicata oggi sul GdS, quando afferma che il giornale “dava voce alla borghesia palermitana”. Ecco, penso che il problema – che quindi lo investe ma non lo riguarda in prima istanza – del Giornale di Sicilia sia stato proprio questo: una parte numericamente importante della borghesia palermitana, per troppo tempo, ha fatto spallucce dei morti ammazzati, degli omicidi eccellenti e dei rapporti che molti autorevoli esponenti avevano con i mafiosi. Uomini del disonore che spesso erano amici di “circoli”, di “caccia” o di “bridge” e che talune volte si trasformavano in soci d’affari. Il tutto relegando la lotta alla mafia ad una necessità non avvertita da molti saloni della “Palermo bene”, mentre le strade si coloravano del colore del sangue di uomini delle Istituzioni, magistrati, giornalisti, imprenditori e poi anche prelati.
La foto fra Federico Ardizzone, numero uno dell’informazione siciliana, con il “papa” di ‘cosa nostra’, Michele Greco, scattata al circolo del Tiro al volo di Palermo, fu una pagina vergognosa e mi indignò particolarmente all’epoca della “sentenza Francese” e penso sia stato giusto rievocarla nella fiction trasmessa.
Fu, d’altronde, lo stesso Greco che, nel corso del processo, ammise candidamente che “frequentavo il Giornale di Sicilia, andavo a trovare Federico Ardizzone, con il quale avevo fondato nel ’46 il circolo del tiro a volo, e l’ex direttore amministrativo Giovanni Passantino. Entrambi venivano anche nella mia tenuta di Croceverde”. E pensare che Ardizzone non sapesse chi fosse Greco, mi fa sorridere e non rende “giustizia” ad un uomo che a Palermo contava, e tanto (ed il riferimento in questo caso è all’editore del GdS). Così come non si possono sottacere le parole della sentenza sull’omicidio di Francese, relative alla possibile “fuga di notizie che avveniva dall’interno del Giornale di Sicilia in favore di alcuni esponenti di Cosa nostra”.
C’era una Sicilia, all’epoca (ed in parte ancora oggi), rappresentata da pezzi importanti di quella alta borghesia, che con i mafiosi ci andava a colazione ed a cena, che si scambiava favori ed anche sensazioni, ed è questo il vero problema. E se per arrivare alla verità storica, a quelle “lenzuola bianche” successive alle stragi, bisogna passare per un dibattito sulle responsabilità dei grandi giornali (che non esitarono a continuare ad attaccare i componenti del cosiddetto pool-antimafia o a difendere i “cavalieri”), sia fatto, l’importante è non perdere di vista il nocciolo della questione.
Mario Francese, probabilmente, lo aveva capito e tentava di scriverlo, con un isolamento “nei fatti” che lo portò alla morte. Ha pagato il prezzo della verità, quello stesso prezzo troppo spesso sulla bocca di molti, oggi. Non se l’è cercata, faceva solo ed unicamente il proprio dovere, il problema è che lo faceva “da solo”.
Un isolamento che forse qualcuno, in questi giorni, voleva trasformare in silenzio ed oblio e che – qui, probabilmente, la vera imprudenza della richiesta dell’Editore – ha trasformato il Giornale di Sicilia non in un problema, ma nel problema.
E’ giusto che i siciliani sappiano di chi siano le responsabilità evidenti, ma che conoscano anche le omissioni e le distorsioni, spesso ad opera di gruppi potenti anche culturalmente che non hanno mai assunto decisioni nette e decise contro la piovra mafiosa. Ed anche in questo caso dobbiamo ringraziare Mario Francese, perché è riuscito con questo dibattito – ancora una volta – ad aiutare i cittadini a “ricercare la verità”.