BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

La fine della madre?

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di Serena Sapegno

Il commento della nostra Maria Serena Sapegno all’ultimo libro di Lucetta Scaraffia, “La fine della madre” (Neri Pozza, Vicenza 2017). Con lei apriamo uno spazio nuovo del nostro sito: la rubrica ‘Discutiamone’. Vogliamo in questo modo mettere in discussione le nostre idee, portarle al vaglio delle nostre lettrici e dei nostri lettori. Vogliamo in questo modo anche portare in pubblico le nostre discussioni, rendere in qualche modo trasparente il processo attraverso il quale assumiamo le nostre decisioni. Buona lettura e continuate a scriverci, noi – info@snoqlibere.it – aspettiamo le vostre mail.

 

Non ci sono cose nuove in questo ultimo libro di Lucetta Scaraffia: piuttosto un insieme di riflessioni politico-culturali spesso assai contraddittorie, corredate di una bibliografia piuttosto aggiornata e spesso interessante. Pure, se vogliamo accettare qualcuna delle provocazioni, di cui il testo è come al solito costellato, possiamo affrontare alcuni dei problemi seri che il libro indubbiamente ripropone. Proviamo a enucleare i punti principali dell’argomentazione:

  • La rivoluzione sessuale è all’origine della situazione odierna e si basa da un lato sulla moderna contraccezione, dall’altro sui mutamenti nella concezione stessa della sessualità che l’autrice fa risalire a Freud. Di essa mette in primo piano l’ossessione per il piacere e la rivolta contro “i valori morali della famiglia”

un attacco culturale (…) in particolare all’autorità esercitata dalle generazioni più anziane sui giovani, e a quella esercitata dai maschi sulle donne. (P. 17)

Si sarebbe andati/e “contro natura”, quindi, separando sessualità e procreazione. Sarebbe dunque la contraccezione a cancellare la differenza sessuale, mentre l’ideologia sostituirebbe la morale.

  • Essendo divenuto quindi il desiderio l’unica legge, il diritto al figlio si è affermato contro il diritto del figlio, e da lì si è arrivati alla gestazione per altri o utero in affitto. Anche questo nella ricostruzione proposta sarebbe riconducibile al femminismo e alla sua rivendicazione dell’autodeterminazione del corpo: non una scelta per la libertà ma di fatto contro la maternità.
  • Il problema dell’origine. La nuova ideologia della scelta del figlio confezionato ad hoc trascura il problema della trasmissione, non tanto biologica quanto interna ad una storia. Si pone quindi la questione della ricerca dell’origine: si tratta di un diritto, di curiosità, o di una necessità profonda?
  • Il femminismo secondo l’autrice sarebbe dunque fallito: avrebbe voluto portare i “valori femminili” nello spazio pubblico ma non ci è riuscito. Al contrario si è facilitata l’assimilazione delle donne agli uomini facendo scomparire la madre. E ciò è dovuto al fatto che il cuore stesso della lotta femminista sarebbe stato l’aborto: il “diritto all’aborto” viene definito come “il capostipite di ogni battaglia femminista”. Il suo trionfo avrebbe intossicato il femminismo e condannato le donne alla solitudine della scelta. Di conseguenza i padri sarebbero fuggiti e i femminicidi aumentati.
  • Se l’autrice riconosce che nei documenti femministi si parlava di scelta della maternità, in realtà la crisi della maternitàsarebbe il risultato della cancellazione della sessualità femminile (‘emozionale’) e della sua assimilazione a quella maschile (‘quantitativa’). Tale concezione della sessualità sarebbe dovuta alle ricerche sul sesso (rapporto Kinsey etc.).

La provocazione è certamente una chiave tipica di questa autrice. Ma, se il rimpianto per il passato mitico di una famiglia ‘morale’ nella quale l’autorità si esercitava (giustamente?!) dai maschi sulle donne è del tutto inaccettabile e privo di fondamento sul piano storico, alcuni dei problemi sollevati fanno invece riflettere.
Non sono mancate le riflessioni delle donne sulla cosiddetta ‘rivoluzione sessuale’ come subalternità all’ideologia dominante, e in definitiva al dominio maschile. Ma davvero l’autodeterminazione delle donne, di cui tanto si è discusso negli anni Settanta, coincide con il diritto all’aborto? Io ricordo discorsi appassionati, non certo sul diritto, ma sulla scelta e la responsabilità: sono scomparsi dalla riflessione collettiva, dal senso comune?

Sul problema dell’origine il tema è molto aperto e l’allarme condivisibile. Ma anche qui non è il caso di mitizzare un passato migliore: ricordiamo la disperata lotta delle donne per la ricerca della paternità? Oggi sono cambiati i termini della questione, in che modo?

Il femminismo voleva e vuole portare le donne, non i “valori femminili”, nello spazio pubblico. Ma ciò sta coincidendo nella pratica con il disperdersi del patrimonio della esperienza femminile? La libertà di autodeterminazione ne sarebbe l’origine? Allora andava bene la famiglia patriarcale? Era quella a consentire la salvaguardia dei valori (quali valori?) nella fissazione ai ruoli sessuali?

Non c’è dubbio che non sappiamo bene come si definisca la differenza in un mondo nel quale si mettano in crisi i ruoli sessuali tradizionali. Così come non sapevamo quale fosse la sessualità femminile quando abbiamo rifiutato la semplice specularità e complementarietà a quella ‘maschile’. Certo abbiamo scoperto allora una diffusa e profonda negazione del desiderio sessuale femminile. Abbiamo perciò aperto una strada inesplorata e rinunciato a finte certezze.

Per giungere invece al punto di più bruciante attualità: la gestazione per altri. Si può certo interpretare la situazione attuale come un nuovo e potente tentativo degli uomini di giungere finalmente a realizzare il loro antico sogno di accedere alla riproduzione escludendo le donne, come ricorda Silvia Vegetti Finzi, citata nel testo anche per la sua importante riflessione sul “grembo psichico”, nel quale il feto cresce e si sviluppa in un profondo legame con la madre.

Ed è sicuramente vero che non abbiamo abbastanza riflettuto sui modi in cui la differenza femminile possa entrare nel mondo e cambiarlo. E questo libro giustamente ce lo ricorda e riapre il dibattito. Certo non si torna indietro e non c’è gran che da rimpiangere nel nostro passato.

Da cheliberta

 


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