Le identità specifiche dei singoli media non esistono più. Le radio sono un po’ tv, le tv sono internet e così via. Il territorio no, un’identità ce l’ha. Il territorio e le persone che lo abitano sono il nutrimento della comunicazione sociale. Fatti di vita quotidiana, piccole grandi storie di dignità e di rifiuto del conformismo, di educazione alla vita sociale e di ribellione alla marginalità. Storie che affiorano attraverso il racconto del sociale, attraverso la cittadinanza attiva, le relazioni, i diritti, le attività del terzo settore, la cooperazione internazionale, l’economia, la cultura e lo sport sociale. Occasioni per “abitare” il territorio e strapparlo al degrado e alla solitudine. Ovvero: illuminare le periferie.
Se i media e i giornalisti raccontano il territorio, ritrovano l’identità. Ma si assumono dei rischi. Piú cose si conoscono, piu complessi sono i loro collegamenti, piu capacita e strumenti servono per comunicarli. Il rischio è dato da chi sbarra la strada e vuole impedirlo. I territori sono pieni anche di malintenzionati, degli Spada di turno abituati a prendere a capocciate chi viola i loro reticoli di omertà e paura, di mafia e ricatti. Il giornalista deve saper distinguere, scegliersi le fonti credibili e separarle da quelle ambigue, non deve generalizzare, deve conoscere e cercare. Il territorio è diventato anche digitale, un’insidia in più ma anche un’opportunità: che succede quando il territorio da spazio fisico diventa spazio virtuale, cioè si smaterializza? C’è il rischio di perdersi, e nessuno dica che non lo riguarda. Quello che gira sul web è responsabilità di tutti se non ci si apre, se non si offrono opportunità e strumenti professionali, giornalistici e deontologici a chi opera in rete.
Mai come in questi tempi la comunicazione é un percorso circolare, non direttivo o a senso unico. Ascoltare e parlare, leggere e scrivere, essere fonti di notizie e utilizzarle é un diritto/dovere di tutti: “nessuno può essere sul posto rispetto a chi gia c’é”. E se il giornalista si sente meno accerchiato, meno isolato sul territorio, piú libero di mettere insieme fonti credibili, ecco che la verità e la comunicazione sociale ne guadagnano. Che cos’é comunicazione sociale? Quella con meno mezzi economici, meno capace di asfissiare il giornalista con ricatti psicologici e di potere, meno compromessa da giochi politici, finanziari o editoriali. In quattro parole: piú libera, piú credibile.
A qualcuno può apparire troppo semplicistico questo ragionamento. Forse sí, ma vi sembra sbagliato? Né titoli a sensazione, né generalizzazioni spazzatura, né imprecisioni: notizie né buone, né cattive, né fasulle. Proviamo a ripartire da qui, dal territorio per ritrovare identità e ruolo, verità e aderenza ai fatti, giornalisti e organizzazioni sociali che ne sono parte, che lo abitano.
Il 2018 si apre con alcune occasioni per riflettere su queste tematiche. Il 12 e il 15 gennaio a Roma, due seminari a Roma promossi da Giornale Radio Sociale, Uisp, Corsa di Miguel (che si correrà a Roma il 21 gennaio, aperta dalla StraAntiRazzismo) e altre organizzazioni sociali con il sostegno dell’Ordine dei giornalisti. Ci saranno i contributi della FNSI e dell’Usigrai, con Paolo Borrometi, neopresidente di Articolo 21 insieme al padre gesuita Giovanni La Manna, fondatore del Centro Astalli e attuale rettore dell’Istituto Massimo. Con loro molti giornalisti e operatori dell’informazione, insieme ai genitori di Marta Russo che hanno dato vita ad una fondazione e alla squadra dei Liberi Nantes composta da rifugiati e richiedenti asilo. Si parlerà di sport sociale come occasione di abitare il territorio e riscoprirne i valori. Si continuerà a parlare di radici sociali e partecipazione attraverso l’informazione anche durante le tre giornate di Contromafie, a Roma dal 2 al 4 febbraio, l’appuntamento annuale organizzato da Libera e da don Luigi Ciotti, insieme a centinaia di organizzazioni sociali. Libera Informazione, con Lorenzo Frigerio e FNSI con Beppe Giulietti daranno vita ad un gruppo di lavoro, quello sui “Racconti”, le buone pratiche del giornalismo contro bavagli e minacce, per incrociare competenze e saperi.
E forse, quando Carlo Maria Martini scriveva quarant’anni fa che “l’accoglienza non é solo un fatto di buon cuore ma una strategia organizzativa”, pensava anche all’informazione e ai suoi protagonisti.