Ci sono tanti modi di raccontare le mille sfaccettature del mestiere di giornalista, e tantissimi lo hanno fatto. Ma Flavio Fusi ha trovato una chiave originale per parlare, molti anni dopo, della sua esperienza sul campo che, anche per una sorta di corto circuito dei tempi, lo ho portato ad essere sempre là dove passava la storia che ha cambiato il mondo negli ultimi 30 anni. Flavio – inviato del TG3, conduttore del TG da New York, responsabile della redazione esteri – è sempre stato uno come, come diciamo noi, “non se la tirava”. Per lui parlavano quei reportage precisi, sempre con qualcosa che gli altri colleghi non avevano, sempre nei luoghi giusti al momento giusto. Ma i luoghi erano Berlino, il Messico, la New York de 12 settembre, Mosca dopo l’89,le divisioni dei Balcani dopo anni di guerra…….
Il suo libro mi ha incuriosito, ho voluto leggerlo e mi va di parlarne perché è diverso dai nostri classici libri giornalistici, forse perché c’è anche quel tanto di cinismo burbero e disincantato della Maremma che Flavio ha nei suoi precordi e che ogni tanto anche in redazione veniva fuori. Su “Cronache infedeli”, pubblicato da una piccola ma ottima casa editrice, la Voland, ho voluto fargli tre domande, come una conversazione fra vecchi amici.
Perché “Cronache infedeli”?
“Per trenta anni ho lavorato come inviato sui fatti del mondo per il Tg3 e per la Rai. L’inviato è sostanzialmente un cronista: deve raccontare i fatti, le storie, cercando di essere fedele. Questo è il suo patto con i lettori, nel mio caso, con i telespettatori. Scrivere un libro, a distanza di tanti anni, mi scioglie felicemente da questo patto. Ora, il mio dovere è al contrario quello di essere infedele: di filtrare fatti e storie attraverso i miei ricordi e le mie emozioni. E soprattutto attraverso la vita, le emozioni, le parole dei tanti piccoli, sconosciuti protagonisti che ho incontrato in questo lungo viaggio. In questo libro cerco di illuminare i frammenti che sono rimasti fuori dalle mie cronache di giornalista.
Che cosa, più delle altre, ha determinato il cambiamento di questi ultimi trenta anni?
Il mondo che ci viene consegnato dal mutamento, direi dal tumulto degli ultimi decenni, è molto più complesso, drammaticamente complesso, del mondo che la mia generazione ha conosciuto. Si può dire, semplificando, che il venir meno della contrapposizione Est-Ovest ha funzionato come il detonatore nella spaventosa esplosione di una super-nova. I frammenti di un grande sistema solare hanno dato vita a migliaia di nuove costellazioni. E come ci siamo sbagliati! Pensa che sulle rovine del Muro di Berlino si favoleggiava della “fine della storia.” Certo, una storia era finita, ma ne iniziava un’altra: molto più complessa e più difficilmente decifrabile. Vogliamo usare una sola immagine per descrivere il nostro pianeta? Oggi, immense moltitudini sono in marcia.
Qual è la maggiore difficoltà che hai incontrato in questo modo di raccontare i fatti a un pubblico che prima di tutto deve essere informato?
Fammi dire che il mio lavoro, la mia esperienza come inviato televisivo, è stata una lunga “festa mobile”: entusiasmante, anche nei momenti più duri. Parlavo prima del patto con il lettore. Ecco, il mio patto è sempre stato questo: cercherò di spiegarti i fatti raccontandoli attraverso la vita delle persone, la vicenda minima degli esseri umani che incontro. Lascio la narrazione titanica ai manuali di storia. L’operaio bianco del Midwest che ha votato per Trump è assai più interessante di Trump stesso. Le sue paure, i suoi rancori, la sua giornata valgono più della tronfia epopea dell’inquilino della Casa Bianca. Certo, questo modo di lavorare è più difficile: bisogna tradurre in informazione lo scorrere della vita di personaggi apparentemente senza volto. Non bisogna essere didascalici né distaccati: bisogna starci dentro, alla storia che racconti, con le mani e con i piedi e con il cervello e con il cuore.