Fu una cellula della rete ultranazionalista Ergenekon ad assassinare il giornalista turco-armeno. 11 anni dopo l’inchiesta è stata insabbiata
Invece di favorire il processo
di democratizzazione in Turchia,
le risoluzioni che riconoscono
il genocidio armeno
hanno reso questo processo
ancora più difficile
e rafforzato i nazionalisti turchi.
(Hrant Dink, 15 Aprile 2005)
Ricordo precisamente la mattina del 19 gennaio 2012. Ero ad Istanbul ed una folla immensa invadeva le strade del centro per commemorare l’anniversario della morte del giornalista Hrant Dink, ucciso davanti alla redazione di Agos, settimanale bilingue turco-armeno da lui fondato nel 1996. Un corteo quasi funebre, in cui spiccavano centinaia di cartelli con le scritte «Siamo tutti Hrant Dink» o «Siamo tutti armeni» s’era mosso come un gigantesco serpente dalla piazza Taksim e si dirigeva verso il luogo dell’omicidio. Migliaia di persone si muovevano agitando striscioni neri in segno di lutto per un assassinio, che, dopo cinque anni, ancora attendeva giustizia. Oggi, 11 anni dopo l’assassinio, niente è cambiato.Quell’omicidio di stato non è stato mai veramente elucidato anzi è stato sapientemente insabbiato. Un antefatto per capire: Il 6 febbraio 2004 Agos pubblicò il racconto di Hripsime Gazalyan, proveniente da Gaziantep (Turchia sudorientale), che raccontò che la prima donna pilota di Turchia, Sabiha Gökcen, la stessa cui venne intitolato il secondo aeroporto di İstanbul, non era turca, bensì un’orfana armena adottata da una famiglia turca durante il genocidio del 1915. Dopo la pubblicazione di quest’articolo, Hrant Dink, in qualità di redattore capo di Agos, venne convocato nell’ufficio del governatore d’İstanbul e secondo alcune testimonianze ricevette minacce da parte di due persone in presenza del vicegovernatore. Il giorno seguente lo stesso Dink venne formalmente accusato di offendere l’identità turca e incriminato ai sensi dell’articolo 301 del Codice Penale Turco per un altro suo articolo pubblicato su Agos. Il 26 febbraio 2004, un gruppo di Lupi Grigi, gli Ülkü Ocaklary, si riunirono davanti alla redazione di Agos gridando minacce di morte al giornalista e mostrando cartelli con scritto «Stai attento» e «Ti spezzeremo le mani». Il seguito lo conosco tutti.
Nel 2012 il giudice della XIV Corte d’Assise d’İstanbul ha condannato all’ergastolo Yasin Hayal, scagionando, al tempo stesso, altre 17 persone, implicate, secondo l’accusa, a diversi livelli nell’assassinio, e designando, dunque, Hayal unico complice dell’assassino Ogün Samast, condannato nel luglio 2011 a 22 anni e 10 mesi di prigione. Tale sentenza negava la tesi secondo cui l’assassinio del giornalista rientrasse in un complotto ultranazionalista e sconfessava le dichiarazioni rilasciate soltanto un anno prima dal procuratore Hikmet Usta, il quale sosteneva che l’omicidio fosse stato commesso dalla cellula di Ergenekon di stanza a Trabzon, sul mar Nero, da dove proveniva lo stesso Ogün Samast.
Le prove dell’esistenza della cellula di Ergenekon
Già poco più di un mese dopo l’assassinio, Fethiye Çetin, avvocatessa della famiglia Dink, aveva mostrato alla stampa una copia di un’informativa trasmessa dalla polizia di Trabzon a quella d’İstanbul in cui s’avvertiva quest’ultima dell’esistenza di un progetto per assassinare Hrant Dink. Secondo Çetin, la polizia di Trabzon aveva avvertito quella d’İstanbul ben 17 volte dell’esistenza di una concreta minaccia nei confronti del giornalista turco-armeno. Eppure alcuna misura cautelativa era stata presa. Il sostituto capo del dipartimento dell’intelligence della polizia di İstanbul Ali Fuat Yılmazer, in un rapporto messo agli atti nel processo per l’omicidio del giornalista, dichiarò che nessuna informazione era stata ricevuta dalla polizia d’İstanbul «in merito a minacce nei confronti di Hrant Dink nei giorni precedenti il suo assassinio». Anche il capo della Brigata Antiterrorista (TEM) Selim Kutka rilasciò una dichiarazione simile.
Incriminati i giornalisti che fecero inchieste indipendenti sull’assassinio
Non era però dello stesso avviso il giornalista di Milliyet Nedim Şener. Già nel 2009 ne L’omicidio di Hrant Dink e le bugie dell’intelligence, cui sarebbe seguito, nel 2011, Il Venerdì Rosso, Şener aveva puntato il dito contro le negligenze di alcuni esponenti delle forze dell’ordine tra cui quelle dell’allora capo dell’intelligence della polizia di Trabzon Ramazan Akyürek. Quest’ultimo per tutta risposta aveva denunciato Şener, in seguito incriminato «per aver pubblicato informazioni coperte da segreto ufficiale, per aver tentato d’influire il giusto corso di un processo e per aver indicato nel suo libro responsabili dell’antiterrorismo trasformandoli automaticamente in possibili obbiettivi». Şener era stato inoltre denunciato dal responsabile dell’intelligence della polizia Muhittin Zenit, dal direttore del ramo dell’intelligence di Trabzon Fatih Sarı e dal sostituto capo del dipartimento d’intelligence della polizia d’İstanbul Ali Fuat Yılmazer. Per questo processo il giornalista Nedim Şener rischiava 28 anni di prigione, cioè cinque in più di quelli richiesti per l’assassino di Dink! E per aggiungere paradosso a paradosso l’ormai ex-capo dell’intelligence della polizia di Trabzon Ramazan Akyürek aveva trascinato in tribunale anche il giornalista di Vatan Kemal Göktaş per le sue affermazioni riguardo l’informatore della polizia Erhan Tuncel, affermazioni contenute nel suo libro Omicidio Hrant Dink: Media, Magistratura, Stato. Secondo Göktaş, Erhan Tuncel, pur avendo informazioni di prima mano riguardo un progetto per assassinare Dink, non aveva intrapreso nessuna iniziativa affinché ciò non avvenisse. Ad ogni modo, nel suo libro Şener aveva inserito un prezioso documento che avallava la sua tesi secondo cui i servizi d’intelligence della polizia e la Brigata Antiterrorista avevano spudoratamente mentito riguardo la conoscenza di una concreta minaccia che incombeva su Dink. Nel documento in questione, firmato in data 2 marzo 2004 dal sostituto capo della polizia Hakan Aydın Türkeli, si affermava che Hrant Dink aveva ricevuto minacce di morte da parte dei Lupi Grigi e da altri individui isolati. Nel documento, Türkeli concludeva disponendo che si prendessero alcune misure di sicurezza per garantire l’incolumità del giornalista, in special modo davanti alla sua abitazione e davanti alla redazione di Agos.
Il complotto di stato per assassinare Dink
Durante un’udienza del processo contro il giornalista Nedim Şener l’attuale capo dell’intelligence Sabri Uzun dichiarò di non aver avuto accesso ai rapporti stilati da suoi agenti ed ormai archiviati. «Gli ispettori mi dissero dell’esistenza di un rapporto» dichiarò in tribunale Uzun «che includeva l’informazione che uno sconcertante piano era stato messo a punto per assassinare Hrant Dink. Io fui sorpreso quando lessi il rapporto integrale perché non menzionava solo il piano, ma forniva informazioni dettagliate su come uccidere Dink, sulle armi e sul denaro previsto per portare a termine l’operazione. Il 4 dicembre 2009 firmai una dichiarazione in cui affermavo di non aver potuto visionare il rapporto del 17 febbraio 2006 all’epoca in cui ero capo del dipartimento dell’intelligence. Il rapporto mi era stato infatti oscurato dal direttore del ramo C dell’intelligence» . Il direttore del ramo C dell’intelligence non era altri che Ali Fuat Yılmazer, colui che aveva dichiarato che nessuna informazione era stata ricevuta dalla polizia d’İstanbul «in merito a minacce nei confronti di Hrant Dink nei giorni precedenti il suo assassinio». La deposizione di Uzun aveva così confortato la tesi di Nedim Şener: Ramazan Akyürek ed Ali Fuat Yılmazer avevano deliberatamente nascosto le informazioni concernenti un piano per assassinare Dink. Ed ecco l’ennesimo paradosso di questa vicenda, colui che aveva svelato l’informazione, il giornalista di Milliyet Nedim Şener, era rinchiuso in prigione, mentre il sostituto capo dell’intelligence della polizia d’İstanbul Ali Fuat Yılmazer non aveva subito nemmeno un’ammonizione, anzi, qualche tempo dopo, avrebbe ricevuto la promozione a direttore di polizia di prima classe con voto unanime dell’apposita commissione interna della polizia turca. Ramazan Akyürek, invece, sarebbe stato addirittura nominato capo del medesimo dipartimento . Due alti ufficiali della polizia e dell’intelligence erano quindi direttamente implicati nell’assassinio del caporedattore di Agos, perché col loro operato, invece di impedire o tentare di impedire l’omicidio, avevano finito col favorirlo, ed ora, a processo concluso, ne uscivano puliti, anzi, addirittura glorificati. Ulteriore fango veniva così gettato su Hrant Dink, come se l’aver dato la vita nel nome della libera informazione non fosse già un prezzo eccessivo da pagare.