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“Gravity”. Al Maxxi di Roma il visitatore interagisce con la nuova concezione dello spazio

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“Se la filosofia naturale che è poi scienza, e teologia sono in disaccordo è solo perché la scienza non ha ancora tutte le evidenze che si possono avere, ma c’è anche il caso che gli uomini di fede non abbiano saputo interpretare in modo abbastanza curato i testi sacri.”  Sono parole di grande attualità queste scritte da San Tomaso d’Aquino nel XIII secolo. Certo quando le scrisse non poteva immaginare il conflitto tra fede e scienza che sarebbe insorto in seguito alle scoperte di Galileo Galilei e tanto meno prefigurare la teoria della relatività che proprio un secolo fa enunciò Albert Einstein. Era il 1917 e cambiò la concezione del mondo. Ora la mostra, “Gravity”, allestita al Museo d’Arte Contemporanea Maxxi di Roma con la collaborazione   dell’Agenzia Spaziale Italiana e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare invita il visitatore ad interagire con la nuova concezione dello spazio. Coinvolgendolo attivamente, a cominciare dalle modifiche sull’universo dovute alla sua presenza fisica. Si entra in un ambiente totalmente buio in cui è problematico trovare il proprio orientamento. Superato lo sconcerto iniziale ci si immerge nell’atmosfera rarefatta dell’ambiente.

Dove alla proiezione reale dello spazio si alterna quella immaginifica di Thomas Saraceno. E dove i corpi rotanti dei satelliti si alternano alle sequenze di lussureggianti e terrestri paesaggi tropicali nel video di Jennifer Allora & Guillermo Calzadilla. Il corpo con la sua gravità, da una parte; l’attrazione verso l’universo che ci avvolge nella sua atmosfera sonora, dall’altra.

Intanto un ragno, vero anche se non velenoso, tesse con pazienza la sua tela: Ancora una volta il microcosmo che interagisce con l’infinito. Fino al 29 aprile. Poco più di quattro secoli prima, nel 1610, con il suo “Sidereus Nuncius” Galileo Galiei annunciava la sua rivoluzione, quella che poneva fine alla concezione tolemaica dell’Universo. E’ davvero una straordinaria coincidenza che, quasi in contemporanea, a Padova, nella sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova a Rovigo, in piazza Duomo, sia in corso la mostra “Rivoluzione Galileo”.

Un Galileo Galilei (1564 -1642) a tutto tondo: dalle scoperte scientifiche, alle diverse versioni dei suoi bellissimi e luccicanti strumenti, a cominciare dai cannocchiali. Fino al mito ottocentesco, pronubo Leopardi, di padre della patria, insieme a Dante. Con risvolti anche insoliti quale critico d’arte e autore di acquerelli relativi alle sei fasi lunari (1609). Inesauribile fonte di ispirazione per gli artisti, dal Seicento ai giorni nostri. E ’quanto documentano i curatori Giovanni Carlo Federica Villa e Stefan Weppelmann.

I riscontri iniziano con la “Fuga in Egitto” di Adam Elsheimer, prima rappresentazione in assoluto della Via Lattea e proseguono con dipinti dei Brueghel e di Govaerts, all’insegna del realismo. Sul versante italiano echi si colgono in Artemisia Gentileschi, in Empoli e nelle “Osservazioni astronomiche “di Donato Creti. Ed ancora nell’autoritratto di Luca Giordano in veste di astronomo e nel dipinto relativo al mito di Endimione del Guercino. La luna, i cieli stellati, i pianeti, soprattutto Venere con la sua intensa luminosità, le icone prevalenti.

Per quanto riguarda i moderni e i contemporanei si spazia da Previati a Giacomo Balla fino a Tujmans e Anish Kapoor, quest’ultimo con un’opera dalle infinite rifrazioni posta all’inizio del percorso. In dialogo con uno dei due ritratti di Galileo presenti nella mostra.

Galileo fu nominato, su delibera del Senato della Repubblica di Venezia, docente all’Università di Padova il 26 settembre del 1592. Vi rimase per 18 anni: “li diciotto anni migliori di tutta la mia età” li definisce in una lettera. Fino al 18 marzo

 


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