Ancora corpi che annaspano, che affondano, che cadono da gommoni di cartone che si sfaldano e si sgonfiano. Si ricominciano a contare i corpi cominciando da quelli vivi, dalle mani che sbracciano sull’acqua gelida del mare d’inverno. I morti si contano solo se galleggiano ancora.
Il primo naufragio dell’anno. La conta ricomincia come se nulla fosse, quello che è stato fa parte di una dimensione temporale che non c’è più, si spinge il tasto reset a beneficio delle statistiche che servono ad accompagnare gli slogan di questa lunghissima campagna elettorale iniziata da tempo. Il successo si sottolinea nei soli tremila morti, una buona percentuale in meno rispetto allo scorso anno. Il successo prende forma nel 30 percento in meno di arrivi. Con il meno davanti ai numeri si conquista consenso, si determina il grado di popolarità.
Quel meno che cancella le espressioni, sottrae i volti, nasconde le persone.
Lo scorso anno tremila morti erano tanti, troppi, un numero intollerabile. Oggi sono un “segnale positivo”, una “inversione di tendenza”.
La matematica dice che è vero. Ma dovremmo porci altre domande.
Avevano annunciato duecentomila, duecentocinquantamila arrivi quest’anno. L’allarme lanciato prima dell’estate, nel pieno rispetto del rituale che si ripete da anni che serve a spaventare, a minacciare l’invasione. Dove sono quelli che non sono arrivati?
Alcuni li abbiamo visti tornare indietro a bordo delle motovedette libiche, riportati al punto di partenza dal quale stavano scappando. Di altri sappiamo che sono chiusi nei centri di detenzione in Libia, venduti come schiavi, sottoposti alle violenze, agli stupri, agli orrori che raccontano tutti quelli che arrivano e anche quelli che ancora sono li. Altri ancora sono sul fondo del mare, come quel numero indefinito disperso oggi tra le onde del mare d’inverno.
Altri ancora probabilmente non esistono affatto e fanno parte di quel numero fantasma che ogni anno viene annunciato in procinto di partire, pronto ad invaderci, ma che poi non arriva mai.
Il successo si costruisce anche utilizzando parole che non per forza corrispondono alla realtà. Si descrive un pericolo che in realtà non c’è, ma la paura resta e diventa vera.
Oggi una persona mi ha detto che vorrebbe anche lui la tessera dei quaranta euro. Ho faticato un po’ a capire cosa intendesse. Era convinto che i migranti quando arrivano ricevono una tessera che gli da quaranta euro al giorno,una specie di bancomat. Come lui chissà quanti altri ne sono convinti davvero.
Ci sono messaggi veicolati apposta in questa direzione, una informazione costruita per fare leva sulle paure, che gioca con i diritti e costringe tutti a sentirsi derubati.
Il primo naufragio dell’anno avviene a distanza di pochissimo tempo dal suicidio di un migrante tunisino. A Lampedusa, un ragazzino si è impiccato. Era a rischio dicono i suoi compagni chiusi come lui dentro quegli hot spot dove il tempo si ferma, i diritti vengono congelati e si resta in apnea ad aspettare una risposta.
Ce ne sono altri diecimila in questa condizione solo nelle isole greche, ormai da un anno e mezzo. Ce ne sono altre migliaia sulla rotta dei Balcani in Serbia, in Bulgaria, in Macedonia. Succede spesso che qualcuno di loro si tolga la vita, anche se nessuno viene a saperlo.
Il primo naufragio dell’anno ci dice che nonostante gli accordi con la Libia, il rafforzamento di una guardia costiera libica spesso composta da trafficanti di uomini, le partenze non si sono fermate e che ci sono persone che non hanno paura di morire. Che preferiscono andare incontro ad una morte probabile piuttosto che restare fermi ad aspettare una morte certa. Ci dice che chiudere i confini non serve a niente. Ci dice che d’inverno il mare è gelido che forse si muore assiderati prima di annegare. Ci dice che si muore lo stesso.