Ahmed Ben Bella, Stefano Gaj Taché, Guido Calvi e Pietro Valpreda: anniversari diversi, figure totalmente diverse e il senso di un cammino e di una storia globale che ci afferra e ci costringe a fare i conti con il nostro passato.
Ahmed Ben Bella, padre e protagonista dell’Algeria moderna, finalmente libera dal giogo francese, ci ha lasciato cinque anni fa, all’età di 95 anni, al termine di una vita interamente dedicata alla lotta per l’indipendenza e la dignità della sua gente.
Primo ministro e presidente algerino dal ’62 al ’65, ispirato nella sua azione politica e nella sua predicazione ideologica dal socialismo di stampo nasseriano, che giocò un ruolo fondamentale sia nel processo di decolonizzazione dell’Africa sia nell’utopia di dar vita ad un socialismo di stampo africano che ebbe nell’Ujamaa di Julius Nyerere la propria sistematizzazione piu proficua, Ben Bella venne deposto dall’ex compagno di lotta Houari Boumédiène, imprigionato, esiliato e infine fatto tornare in patria e, al termine della sua lunga esistenza, omaggiato con tutti gli onori che una personalità del suo calibro merita.
Un combattente, un uomo coraggioso ed egocentrico, pronto a morire per i propri ideali e ad indicare una rotta al proprio popolo. Considerando le peculiarità della tragica storia africana e confrontando le sorti dell’Algeria con quelle di molte altre ex colonie, francesi e non solo, non c’è dubbio che egli abbia avuto più meriti di quanti gliene furono riconosciuti in vita e, per questo, a cinque anni dalla scomparsa merita stima e rispetto, al netto delle sue non poche controversie.
La morte, a soli due anni, di Stefano Gaj Taché, avvenuta il 9 ottobre 1982 nel corso di un attentato alla sinagoga di Roma messo in atto dal fronte di liberazione della Palestina, peraltro pochi giorni dopo la visita di Arafat in Italia, è invece una barbarie che tuttora sta lì a ricordarci quanto sia inaccettabile non solo la violenza materiale ma anche ogni sua minima predicazione, come giustamente ha ricordato il presidente Mattarella nel corso del proprio discorso di insediamento, citando il povero Stefano quale esempio di vittima di un’aberrazione non ancora sconfitta e, al contrario, ben presente bel contesto delle società europee.
Venendo a Roberto Calvi, è uno dei tanti misteri italiani che non hanno ancora avuto risposta. Ritrovato impiccato sotto il Ponte dei Frati neri, a Londra, la mattina del 18 giugno 1982, fu un banchiere piuttosto spregiudicato, in rapporti stretti con Sindona e con ambienti piduisti, implicato nelle vicende del Banco Ambrosiano, di cui era presidente, e, a quanto pare, non proprio estraneo al vorticoso giro di denaro che coinvolse, in quegli anni, determinati ambienti bancari: ambienti, per usare un eufemismo, non completamente limpidi.
Non stiamo, dunque, parlando di uno stinco di santo; fatto sta che egli ha pagato con la vita il proprio viscerale sostegno alle diverse formazioni anti-comuniste sparse in giro per il mondo e il fatto che ambienti interni al Vaticano abbiano deciso di non soccorrerlo, anche, come sostiene il collega Ferruccio Pinotti nel saggio “Poteri forti”, per non far crescere eccessivamente il peso dell’Opus Dei, favorevole a ripianare i debiti dello IOR nei confronti dell’Ambrosiano, nel contesto della curia romana.
Una vicenda straziante, quindi, dai contorni tuttora oscuri, la quale tuttavia ci indica con chiarezza il grumo di interessi opachi e talora illeciti che condusse, in quegli anni, al delitto Ambrosoli (il liquidatore della Banca Privata Italiana), alla morte del suddetto Calvi e infine alla misteriosa morte in carcere dello stesso Sindona, la cui colpa, a quel punto, era quella di sapere troppo e di poter rovinare alcune prestigiose carriere, forse non solo politiche.
Quanto a Valpreda, infine, parliamo di piazza Fontana, dell’inizio della Strategia della tensione, delle diciassette vittime e degli ottantotto feriti di quel maledetto pomeriggio del 12 dicembre 1969 alla Banca Nazionale dell’agricoltura di Milano, in seguito al quale questo ballerino anarchico, assolutamente innocente, venne accusato di essere uno dei responsabili di quell’odioso attentato, destinato a modificare per sempre il corso delle vicende italiane.
Valpreda se ne è andato quindici anni fa, il 6 luglio 2002, a soli 68 anni, e la sua figura resta tuttora avvolta da un velo di assurdità, di ingiustizia e di disperazione, essendo stato identificato, al pari dell’amico Giuseppe Pinelli, come il capro espiatorio ideale cui attribuire un’azione feroce e spietata che è servita a perpetuare, per altri due decenni, un potere ormai malato e minato alla radice dalle proprie contraddizioni nonché gravato da una fatica e da una stanchezza che nei venti anni successivi si sarebbero trasformate in una vera e propria agonia.
Quattro storie, quattro protagonisti del Ventesimo secolo e la necessità di ricordarli e di studiarli, al fine di avere un quadro più nitido del nostro passato e la possibilità concreta di comprendere e interpretare a dovere il nostro presente.
P.S. Cinque anni fa ci lasciava, all’età di 103 anni, Rita Levi Montalcini, straordinaria scienziata, premio Nobel per la Medicina nell’86 e nominata senatrice a vita dal presidente Ciampi. Un’assenza, la sua, che purtroppo si avverte quotidianamente: sia in ambito scientifico che nel nostro triste panorama politico.