Perchè proprio adesso? Ha suscitato un coro di proteste e preoccupazioni la decisione di Trump di voler spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendo di fatto alla città lo status di capitale di Israele. E’ materia che scotta e chi conosce il Medio Oriente sa bene quanto il destino di Gerusalemme sia caro alle tre grandi religioni monoteiste che custodiscono nella città i loro luoghi sacri: il Santo Sepolcro per i cristiani, dove Gesù è risorto; la Spianata delle Moschee per i musulmani dove secondo l’Islam Maometto salì in cielo; il Muro del Pianto per gli ebrei,accanto proprio alla Spianata delle Moschee.
Quel Muro è quanto resta del Tempio di Salomone distrutto dai Romani durante l’assedio a Gerusalemme nel 70 d.c. Riconoscere alla città lo status di capitale dello stato ebraico,come ha detto Trump, significa dare l’avvio ad una nuova fase che non sappiamo dove possa portare. Il presidente americano durante la campagna elettorale aveva preso l’impegno di mettere mano al conflitto israelo palestinese, ma la mossa di queste ultime ore ha fatto infuriare tanti, dagli alleati europei ai governi amici e nemici della regione mediorientale,primi tra tutti i palestinesi che hanno affermato di considerare gli Stati Uniti fuori dal processo di pace.
Anche Papa Francesco ha chiesto di non toccare lo status quo di Gerusalemme. Difficile dire che cosa abbia in mente Trump, che ha ribadito il suo impegno per arrivare ad un accordo di pace ed ha comunque prorogato di altri sei mesi l’avvio del trasferimento dell’ambasciata,come hanno fatto sinora i suoi predecessori,da Clinton a Bush a Obama. Il genero Kushner starebbe lavorando ad un iano di pace che dovrebbe essere presentato all’inizio del prossimo anno. “Gerusalemme è la capitale di Israele.ha detto Trump, è il riconoscimento della realtà,niente di più”. Parole che rappresentano un rimescolamento delle carte in tavola. Una provocazione che per Trump è una sorta di rilancio sul difficile cammino della pace in Medio Oriente che però non è piaciuto e contro il quale si sta ricompattando persino il frammentato e litigioso fronte dei paesi musulmani della regione.
Gerusalemme non si tocca è il leit motiv, dall’Arabia Saudita all’Iran, sino ai palestinesi il cui sogno sinora irrealizzato è di farne la capitale del loro futuro stato.Le ultime trattative di pace tra palestinesi e Israele, nel 2000 tra Yasser Arafat, ai tempi capo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), e l’allora primo ministro israeliano Ehud Barak, fallirono anche perché Arafat rifiutò un nuovo compromesso sulla Spianata delle moschee che avrebbe dato ai palestinesi la custodia dell’intero complesso senza però esercitarne la sovranità, mentre agli israeliani avrebbe lasciato il controllo sul Muro del pianto. Si temono ora proteste e scontri da parte dei palestinesi,una nuova Intifada. Venerdi si riunirà il Consiglio di Sicurezza dell’Onu,sabato la Lega Araba.L’inquietudine serpeggia ovunque,mentre Trump continua a fare di testa sua.