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“Tre manifesti a Ebbing. Missouri”: intelligente parodia sul valore della vendetta. 4 nomination all’Oscar

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“Tre manifesti a Ebbing. Missouri” racconta di Mildred (la bravissima Nancy McDormand), madre di una ragazzina violentata e uccisa che, dopo aver inutilmente atteso che la polizia trovasse il colpevole, decide di sollecitare lo sceriffo del villaggio nel profondo Missouri in cui vive, Ebbing appunto, affiggendo all’entrata del paese tre enormi cartelloni che interrogano le forze dell’ordine sullo stato delle indagini. I manifesti rappresentano una chiara sfida alle autorità e alla fine riusciranno a riaprirle, non prima di aver dato luogo a una lotta serrata tra Mildred e la polizia. Nel caso è coinvolto anche il vicecapo del distretto, un razzista convinto e sleale che usa le maniere pesanti, sicché lo scontro tra la donna e gli agenti si trasforma in un’escalation di violenza.

Il film inizia come la solita pellicola che vede protagonista una vittima delusa dallo sceriffo di turno, usare tutti i mezzi a sua disposizione affinché giustizia sia fatta; lasciando immaginare un finale prevedibile ancorato alla logica dell’abusata vendetta fai da te. Il regista, Martin MacDonagh, tiene alta la suspense e sembra confezionare niente più che un’ opera di genere ben fatta e interpretata da grandi attori. Tuttavia, man mano che la storia si snoda, si resta colpiti dalle battute esilaranti, dalle scene di aggressività paradossali e ripetute, che imprimono una svolta sorprendente rivelandosi parodia di grande intelligenza, che destruttura il filone cui appartiene e coniuga la capacità di intrattenere con quella di far riflettere sulla rabbia vendicativa e l’inutilità della violenza, tanto più in un’America culturalmente votata al libero commercio delle armi. “Tre manifesti a Ebbing. Missouri”, è un film che ironizza su certo cinema angusto e termina con un finale – quale ovviamente non dico – che contribuisce a farlo volare alto e a renderlo meritevole dei riconoscimenti di Venezia e delle candidature all’Oscar.

 


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