Rapporto sul lavoro. Una “ribollita” di dati già noti. Cresce solo il lavoro a breve termine

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Le bugie del governo e dei media. Nelle ore lavorate siamo lontani dal 2008. I giovani pagano il prezzo più alto

Di Sandro Carli

In Toscana si parlerebbe di ribollita. Ci riferiamo non alla zuppa, ottimo primo piatto, a volte anche unico come nella tradizione dei contadini poveri che richiede una preparazione non facile, cibo di provenienza campagnola diventato un lusso. Parliamo dei dati sull’occupazione che stanno uscendo a getto continuo da un po’ di mesi a questa parte. Sono sempre i soliti. Già li hanno resi noti, Istat, Inps, Censis, perfino istituti stranieri come l’Ocse, il Fondo monetario, si sono esercitati nel comporre la ribollita dell’occupazione. Stanno facendo la gioia del presidente del Consiglio, dei ministri, ognuno si prende il merito di aver rilanciato l’occupazione. Renzi trilla, è merito mio, delle mie riforme. Gentiloni non lo può contrariare ma non rinuncia a dire la sua, Poletti parla, parla, illustra le bontà del jobs act, Calenda quelle dell’industria 4.0. I media dimenticano di aver già resi noti i numeri gridando ad un secondo miracolo italiano. La presidente del Fmi prende spunto e sollecita altre riforme di struttura che si riassumono in un jobs act più stringente perché la signora Lagarde vede ancora  delle “resistenze” ad allargare un mercato senza regole.

Il nuovo miracolo italiano di cui parlano le statistiche della ribollita è rappresentato dal fatto che per quanto riguarda il numero degli occupati siamo tornati quasi al 2008. Ma leggendo bene si scopre che c’è un divario rilevante fra il numero degli occupati e le ore lavorate. Significa che i contratti a tempo indeterminato continuano ad essere una aspirazione, ma siamo lontani dalla realtà. Rispetto al 2008 sono cresciuti a dismisura quelli a termine, i “lavoretti” di poche ore. Il precariato detta legge e colpisce in particolare i giovani. Nel 2016 il tasso di occupazione per i 15-34enni si è attestato al 39,9% e ciò significa che è diminuito di 10,4 punti rispetto al 2008, a fronte di un aumento di 16 punti per i 55-64enni (salito al 50,3%). Negli ultimi due anni, miracolo, vi sarebbe stato un miglioramento per i giovani, il solito zero virgola. In realtà dal 2014 è cresciuta l’occupazione a termine, con un rallentamento nei due anni successivi, e una nuova intensificazione nel 2017, quando ha toccato il massimo storico nel secondo trimestre 2017 (“2,7 milioni di unità)”, dice il rapporto.

Crescita minima malgrado la decontribuzione. Contratti di brevissima durata

“Tra il 2015 e il 2016, grazie in particolare ai provvedimenti di decontribuzione – dice il Rapporto – è cresciuta significativamente anche l’occupazione a tempo indeterminato che nel secondo trimestre 2017, nonostante il recente rallentamento, raggiunge un livello molto vicino al massimo della serie storica (14 milioni 966 mila unità)”. Una confessione si potrebbe dire di impotenza, se malgrado la decontribuzione la crescita è minima. Anzi ora si torna indietro, come i gamberi.

Il  presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha definito “preoccupante” il fatto che la crescita dei contratti a tempo determinato “sia legata a quelli di brevissima durata, sotto i tre mesi. Questo pone un interrogativo al legislatore: occorre valutare se non è il caso di rivedere la norma che permette fino a cinque rinnovi”. Bisogna cioè considerare “se rendere più difficile il rinnovo del tempo determinato”. O “il rischio è che diventi un periodo di prova prolungato”. La realtà è che negli ultimi anni, in Italia hanno ripreso a lavorare più persone ma con una durata minore del rapporto di lavoro. Coinvolti poco meno di 4 milioni nel 2016 rispetto ai 3 milioni del 2012.

Ancora: il valore economico dei lavori brevi, misurato sulla base delle retribuzioni e dei redditi imponibili è salito dai 9,7 miliardi nel 2012 ai 12,0 miliardi nel 2016.

Da jobsnews

 


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