Un amico mi critica per aver partecipato a una colletta per aiutare una persona in difficoltà. La sua teoria è che non si risolve il problema alla radice con interventi caritatevoli una tantum. Iniziamo a discutere, gli dico che non mi ha convinto, perché per me sta facendo due errori: quello di cadere nella botola del “o tutto o niente”, che punta inconsciamente al niente, per disimpegnarsi senza sensi di colpe da un tutto impossibile; e quello di confondere il livello privato con quello pubblico nell’affrontare il bisogno.
Il privato può solo palliare la povertà con della beneficenza. Ci vuole umiltà per aiutare il prossimo, perché si agisce su una minima parte del problema di una singola persona. Ed è chiaro che non le stai risolvendo la vita. E’ invece nell’ambito pubblico – cioè politico – che vanno cercate e rimosse le cause dell’indigenza.
Purtroppo, assistiamo invece a una confusione dei due piani di azione. C’è lo Stato che fa impropriamente beneficenza (bonus) invece di attuare azioni strutturali. E c’è il privato che organizza iniziative strutturali (per es. campagne regolari di acquisizioni fondi per la ricerca) per intervenire dove lo Stato si sottrae.
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