Dall’avventurismo al bluff, tra Madrid e Barcellona i risultati elettorali aprono un’altra mano di poker mascherato che lascia la Spagna intera ostaggio dell’azzardo politico e istituzionale. Gli indipendentisti hanno vinto e controllano saldamente la Generalitat; ma i loro capi sono interdetti o in carcere. Inseguito da un pesante mandato d’arresto il leader della coalizione, Carles Puigdemont, è costretto all’esilio di Bruxelles. L’avversario più implacabile, Mariano Rajoi, clamorosamente battuto, anzi cancellato con il suo partito popolare in Catalogna, resta capo del governo nazionale e gli ha ripetuto che se rientra, la Guardia Civil l’aspetta alla frontiera per condurlo in carcere.
La simmetrica impotenza di vincitori e sconfitti appare palese e ne ribadisce le gravi, reciproche responsabilità: il governo centrale per l’ostinata indisponibilità a negoziare nell’ultimo decennio maggiori e legittime autonomie; i nazionalisti catalani per giocare un colpo di mano con un referendum che per molti aspetti ha simulato un ricorso alla piazza. Confuso nei tempi, Rajoi dimentica d’essere privo da anni d’una maggioranza parlamentare reiteratamente negatagli dal voto popolare. Re nudo in pieno inverno, agisce tuttavia d’imperio come se fosse Fernando d’Aragona, cinque secoli addietro. E’ l’audacia della disperazione, il peggiore degli stati d’animo per un politico.
Ma neanche per i separatisti il nuovo anno presenta orizzonti limpidi, tutt’altro. La stessa formazione del governo regionale risulta tanto urgente quanto complicata: sia perché allo stato gli esponenti del precedente sono in ogni caso obbligatoriamente indisponibili, dunque sarà necessario indicarne di nuovi quanto meno in una prima fase (anche per trattare con Madrid); sia perché i neo-eletti stentano ad accordarsi nella distribuzione degli incarichi e delle responsabilità. Mentre le economie catalana e nazionale appaiono frenate da tante incognite e la forza nascente del centro-destra, Ciudadanos, risultato il primo partito della regione, si propone di promuoverne la ripresa anche per dimostrare le inadeguatezze dei partiti tradizionali.