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Orgoglio e rassegnazione

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“Il raffinato orgoglio della rassegnazione”. Ormai ci rimane solo l’ossimoro –forse troppo elegante- di Ennio Flaiano (“Diario degli errori”, Sparse, 1961, 139), anche se presto dovremo accontentarci di una rassegnazione meno raffinata e senza orgoglio. Dobbiamo rassegnarci e inseguire chi non vede l’ora, soprattutto a sinistra, di contarsi e non si accorge che la Sicilia, affascinante e crudele, ha già emesso la sua sentenza alle ultime elezioni. Siamo rassegnati quando ascoltiamo Roberto Weber, che misura solo sottrazioni tra il Pd e la sinistra inconciliabile alla sua sinistra, mentre vaticina la resistibile ascesa del centrodestra guidato dal solito Silvio Berlusconi.
C’era rassegnazione senza orgoglio, nella scena agghiacciante, che mostra le teste chine e gli occhi bassi di quel gruppo di volontari “pacifisti” che hanno dovuto ascoltare in silenzio il proclama di un nutrito gruppo di naziskin che ha invaso la loro sede per leggere un proclama anti immigrati per la difesa della patria e probabilmente della “razza”.
Forse, qua e là, c’è un po’ di “raffinato orgoglio della rassegnazione” in quella metà di italiani che non va più a votare, destinati ad aumentare alle prossime elezioni politiche che –quasi per definizione- non potranno dare alcuna maggioranza stabile e coerente per il paese, sprecando le occasioni aperte dal governo Gentiloni.

Intanto, con un po’ di vergogna, siamo disperatamente rassegnati alla prepotenza inarrestabile della criminalità che domina pezzi d’Italia, al Sud, ma non solo. Molti sono tristi e rassegnati, ma tanti altri sono orgogliosamente dediti alla mostruosa evasione fiscale, che se fosse recuperata permetterebbe di investire nella scuola, sulla sanità, per la cultura e il lavoro, ma parlarne, ormai, è una barzelletta che non fa ridere.

Siamo rassegnati all’incapacità globale dell’Italia, dell’Europa, del Mondo nel gestire l’accoglienza, che in teoria sarebbe possibile e qualcuno dice anche necessaria a un Occidente sempre più sterile. Eppure, anche Papa Francesco, come sempre un po’ eretico, ha detto che l’accoglienza dei migranti ha un limite, mentre non pochi, che hanno meno pazienza, ingrossano le fila di un populismo che sconfina facilmente nelle soluzioni sbrigative, se non “finali”, proposte dalla sempre più numerosa ed aggressiva galassia nazi-fascista.

La rassegnazione senza orgoglio si gonfia di rancore in un’Italia che ha ricominciato a crescere in mondo il cui il lavoro vale sempre meno, ha perso la sua dignità anche quando c’è ed è ben qualificato. La rassegnazione si mescola con il rancore e la rabbia perché si percepisce un’ingiustizia diffusa, quasi esistenziale tra i giovani, fisiologicamente dediti alla costruzione del futuro, trattati alla stregua di una “categoria” ormai irrilevante.

I novanta giorni, o poco più, che ci separano dalle elezioni non basteranno per frequentare un po’ le periferie abbandonate, rassegnate e rabbiose perché si sentono invase da africani e mussulmani, “estranei” per definizione. Novanta giorni o poco più non basteranno per ritornare nelle fabbriche, dove anche chi lavora fa fatica a mantenere la famiglia, mentre mega dirigenti galattici si distribuiscono milioni di euro di premio anche quando portano sull’orlo del fallimento le loro aziende, oppure vedono gli “gnomi” della finanza e delle multinazionali che diventano ricchi e spudorati oltre misura, specie quando non vogliono pagare le tasse. Forse la sinistra, anche quella democratica, moderata e riformista, minoritaria nei voti che (non) raccoglie, è minoritaria anche nella testa, vista l’incapacità di pensare, proporre e realizzare soluzioni nuove ed innovative in questo mondo che –almeno in teoria- ha realizzato le condizioni annunciate da Marx e da Keynes per la liberazione dall’oppressione del lavoro grazie alla tecnologia. E invece, mentre torna di moda la schiavitù, notabili vecchi e nuovi della sinistra, si detestano, non dialogano e giocano a contarsi per perdere lasciando a noi soltanto “il raffinato orgoglio della rassegnazione”.


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