“Da qualche anno non vivevo più in Italia e mi informavo attraverso giornali e televisioni. Avevo la netta sensazione che il fenomeno migratorio di oggi abbia caratteristiche ben diverse dal passato, dovevo capire cosa stava succedendo, e allora sono tornato per andare a parlare con gli unici che potevano rispondere alle mie domande: i migranti appena sbarcati.”
Inizia così una lunga chiacchierata con Michelangelo Severgnini, regista che già si era occupato dell’argomento realizzando, nel 2005, il documentario “Ultimi giorni a Lampedusa” e che, oggi, vi ritorna con“Schiavi di riserva”, una raccolta di interviste a un gruppo di migranti ospiti dell’hotspot di Pozzallo, registrate nel settembre di quest’anno.
“Prima di completare il documentario – spiega – c’è bisogno di uno sforzo ulteriore, e mi chiedo se c’è qualcuno in Italia che sia disposto a sostenere questo progetto“, e a dare voce a chi risponde, concretamente e senza fronzoli ad alcune questioni cruciali del nostro tempo. “Schiavi di riserva”, infatti, presenta, sin dalle prime battute, un quadro crudo e diretto di quello che accade oggi ai migranti africaniche, attraverso l’inferno libico e quello del Mediterraneo, giungono in Europa.
“Il dato che emerge – sottolinea Severgnini – è che dobbiamo abituarci e prendere atto del fatto che in Libia, ormai da diverso tempo, è in vigore un sistema di schiavitù.“ Una struttura con regole e gerarchie all’interno della quale i migranti vengono sottoposti a forme di tortura fisica e psicologica, a ricatti con la forza, a stupri violentissimi. Il punto, secondo quanto raccolto nelle interviste realizzate per … Continua su vociglobali