119.301 contro 180.380: 61.079 in meno. Sembrano i numeri di vincite alla lotteria. Solo che in questo caso la posta in gioco è la vita umana mentre a vincere cifre da lotteria sono i trafficanti che tengono tra le mani il più grosso business transnazionale dopo quello di armi e droga, con un fatturato stimato tra i tre e i sei miliardi di dollari l’anno.
Il 2017 dei flussi migratori attraverso il Mediterraneo si chiude con un meno 34% di sbarchi nel nostro paese che continua comunque e suo malgrado ad accogliere migliaia di anime viandanti.
Un calo dovuto agli accordi che l’Italia, con l’avallo dell’Unione Europea, ha sottoscritto a inizio anno con la Tripolitania governata da Al Serraj. Un pezzetto di Libia riconosciuta dall’ONU e dalla quale continua a partire il maggior numero di persone in cerca di riparo in Europa. Al governo Serraj abbiamo addestrato militari, consegnato armi, motovedette e milioni di euro per potenziare i controlli sulla costa e in mare. In cambio la guardia costiera di Tripolitania ha cercato di trattenere più esseri umani possibili in territorio. Ma i flussi dalla Libia non si fermano subito, anzi rischiano di aumentare. A giugno si arriva a 12.000 sbarchi in meno di 48 ore. Il governo viene messo a dura prova, non per i numeri ancora gestibili ma per la percezione di insicurezza e fastidio causata da chi soffia sul vento dell’intolleranza.
Anche attraverso gli attacchi alle navi umanitarie, accusate di essere pericolosi Caronte di anime, ” taxi del mare” . Dimenticando che qualche anno prima lo stesso epiteto veniva usato per le nostre navi militari dell’operazione Mare Nostrum quando ancora le navi Ong non operavano in mare. In questo caso però sulle Ong si instilla un’aggravante: quella di avere oscuri legami con i trafficanti.
Così a Catania la procura apre un ‘ indagine conoscitiva che non porta né a indagati né ad una precisa formulazione di reato, indicando come poco trasparenti prima una, poi un’altra Ong.
A luglio scatta il tira e molla tra Viminale e Organizzazioni non governative per la firma di un codice di condotta. Alla fine, firmano quasi tutte le Ong, eccetto una tedesca che si ritrova invischiata in un’inchiesta della procura di Trapani per favoreggiamento all’immigrazione clandestina e Medici Senza Frontiere che ritira le sue navi lasciando solo un team di sanitari sulla nave Aquarius di SoS Mediterranée. Le navi nel Mediterraneo arretrano tutte di circa 15 miglia mentre le motovedette libiche portano indietro centinaia di persone.
Ad agosto gli sbarchi si riducono in modo esponenziale. Ma quei pochi che riescono ad attraversare il mare raccontano di una Libia in pieno caos, in balia di fazioni e bande, dove gli stranieri, soprattutto gli africani, sono pura merce: rapiti e ammassati in prigioni ufficiali o peggio ancora in centri di detenzione disumani.
I segni sono visibili ai soccorritori e ai medici: le dermatiti da contatto sono in forma aggravata, le ferite da arma da fuoco e da taglio aumentano. Ma sopratutto in fuga ci sono anche i cittadini libici unici testimoni di quanto realmente accade in un paese di cui sappiamo solo quello che ai pochi giornalisti stranieri viene concesso di vedere e registrare. Le risse tra africani e libici a bordo delle navi umanitarie sono frequenti e la risposta dei nordafricani è sempre la stessa: “anche noi scappiamo dall’orrore”.
Il nostro paese cerca di mediare per far entrare in pianta stabile le organizzazioni umanitarie internazionali come Oim e Unhcr. Con quest’ultima si riesce a rimpatriare o a portare in Italia con i corridoi umanitari solo qualche centinaio tra i più vulnerabili. Nella Libia che non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra per i Diritti Umani si stima siano prigionieri, torturati e violentati almeno in 40.000. Secondo la Lega Araba molti di più: tra 400 e 700 mila.
“E allora fermeremo i trafficanti al confine con la Libia” annuncia il governo uscente anticipando la presenza a breve di un nostro contingente in Niger.
Questo vorrà dire che nel nel 2018 avremo meno sbarchi in Italia? Non sarà facile perché mentre noi mettiamo l’esercito in Niger, i trafficanti hanno già trovato strade alternative come ad esempio l’Algeria. Senza contare che chi è già entrato in Libia dovrà comunque partire o morire nelle carceri. Oim e UNHCR per quanto più presenti, potranno intervenire solo dove ha giurisdizione il ministero dell’Interno di Tripolitania o comunque solo dove si darà il permesso di vigilare.
Nella grande lotteria per la vita, i conti tornano sempre solo per i vincitori mai per i vinti. Se infatti i sostenitori della politica della chiusura dicono che è meglio tornare nelle carceri libiche che morire in mare, è anche vero che non sapremo mai quanti riusciranno ad uscire vivi da quelle carceri.
Dopo tre anni da capofila dell’accoglienza, l’Italia chiude il 2017 con una politica di “conservazione”. In vista delle elezioni di marzo 2018, il governo uscente vanta meno stranieri arrivati e nel frattempo perde anche una delle più grandi sfide all’inciviltà: quella che permetterebbe ai figli di cittadini stranieri nati in Italia di essere considerati per quello che sono: nostri connazionali. Un’occasione perduta di essere finalmente un paese multiculturale, multietnico e al passo con i tempi.
Il 2018 ad occhio e croce comincerà come è finito l’anno precedente. Almeno fino ad elezioni compiute. Chi sarà il designato al prossimo governo dovrà comunque fare in conti con un paese in cui è già in atto il cambiamento e dove si dovrà anche affrontare il tema dell’accoglienza, altro nostro buco nero. Dovrà fare i conti con altre migliaia di anime viandanti che continueranno a trovare varchi a partire e a cercare aiuto nel nostro paese.
A chi vuole cominciare il 2018 con un buon proposito, consiglio di cominciare a non chiamare più le persone che scappano da guerre e povertà o che semplicemente inseguono un sogno, migranti: parola sempre più usata, abusata e impropriamente utilizzata da chi paragona la migrazione all’invasione o da chi – peggio ancora – specula sulla migrazione per tirare a sé i voti degli italiani frustrati da politiche inadeguate.