La Costituzione italiana compie 70 anni (approvata il 22 dicembre 1947, promulgata il 27 dicembre, entrata in vigore il 1° gennaio 1948). Essa, in Italia, è spesso identificata con la democrazia, perché quest’ultima non c’era mai stata prima e anche per questo i tentativi di stravolgimento sono risultati difficili da realizzare, avendo dato luogo a due pesanti bocciature nei referendum del 2006 e del 2016. Ciò non significa che la Costituzione arrivi ai suoi settant’anni senza modifiche, che sono state diciassette, ma queste hanno solitamente riguardato una o comunque poche disposizioni, la revisione più ampia essendo stata quella del titolo V della parte seconda, che non ha dato, in realtà, buona prova di funzionamento. Naturalmente, altre modifiche mirate sarebbero utili o perfino auspicabili, ma esse sono sempre state rese difficili proprio dalle “grandi riforme”, utilizzate, soprattutto negli ultimi anni, come semplici pezzi di discutibili programmi di governo, e affossate in Parlamento o da parte degli elettori.
Tuttavia, la Costituzione – diceva Calamandrei – «non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. […] Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza politica, l’indifferentismo politico […]». Si tratta, in sostanza, di non considerare la Carta fondamentale come qualcosa da imbalsamare, ma al contrario da far vivere attraverso la sua attuazione da parte del legislatore, che compirà scelte politiche secondo la sua visione di parte, ma nel perimetro del testo costituzionale.
La Costituzione italiana è nata in un periodo di incontro particolarmente virtuoso tra le diverse culture politiche, che hanno prodotto un testo molto avanzato, effettivamente “presbite”, per riprendere l’auspicio di Calamandrei nella seduta del 4 marzo (una data che pare tornerà presto d’attualità) 1947. Ma questo suo carattere avanzato determinò da subito qualche resistenza nel legislatore, che procedette all’attuazione con notevole lentezza, realizzando gli interventi più significativi tra gli anni Sessanta e Settanta, trascurando ancora molte questioni.
Per questo rimane l’attuazione (assai più della modifica) il tema su cui insistere: ciò vale oggi, ad esempio, per i rapporti economici, per la tutela del diritto allo studio, per la progressività fiscale, per il dovere di adempiere le funzioni pubbliche con disciplina ed onore. Quest’ultimo profilo, considerato talvolta meno rilevante degli altri, è in realtà centrale perché troppo spesso le cariche pubbliche sono state utilizzate per trarne vantaggi privati. Il riferimento è, naturalmente, ai numerosi episodi di corruzione, ma anche a quelli – sempre sottovalutati – di conflitto d’interessi. Questo si realizza quando chi ricopre una carica pubblica è gravato anche da un interesse privato, proprio o di un prossimo congiunto, che potrebbe essere tentato dal favorire. Non deve esserci nessuna rilevanza penale, trattandosi di una situazione di allarme, che rileva anche in stato meramente potenziale (senza che cioè nulla sia concretamente accaduto) perché non si crei nei cittadini il sospetto che le cariche pubbliche vengano esercitate per ottenere vantaggi personali, con conseguente sfiducia nelle istituzioni. Ciò è accaduto molto spesso, in Italia: dall’eclatante caso di Silvio Berlusconi a situazioni verificatesi anche in questa legislatura, fino ai suoi ultimi giorni, quando della questione si è discusso a seguito di alcune situazioni portate alla luce dalla Commissione d’inchiesta sulle banche.
L’auspicio è che, nel primo anno della prossima legislatura, il settantesimo anniversario della Costituzione repubblicana sia onorato, anziché attraverso vuote celebrazioni o attraverso l’ennesima proposta di revisione, con alcune importanti leggi di attuazione, tra cui quella sul conflitto d’interessi, per evitare che anche il semplice dubbio di utilizzo di una carica pubblica per ottenerne vantaggi privati possa insinuarsi, incrinando (ulteriormente) il rapporto tra i cittadini e le istituzioni, che, invece, deve essere ricostruito anche grazie a una legislazione che garantisca il rispetto dei rapporti istituzionali e l’esclusivo perseguimento dell’interesse pubblico da parte di chi ricopre cariche pubbliche.