Un enorme toro nero, un condensato di muscoli e forza che ama i fiori e rispetta la natura e i più deboli, guardando il mondo coi suoi grandi occhioni dolci. Certamente uno dei film di animazione più belli di sempre, non soltanto per i disegni – straordinaria la caratterizzazione del protagonista e del torero – quanto più per il messaggio che intende veicolare, ad un pubblico adulto, forse ancor prima che ai giovani spettatori.
Ferdinand, per la regia di Carlos Saldanha (autore sia della serie L’Era Glaciale, che di quella di Rio), è sì, divertente e scanzonato, ma è anche profondo, riflessivo. Ispirato ad un racconto del 1936 “The Story of Ferdinand” di Munro Leaf – portato sullo schermo dalla Disney nel 1938 – preoccupò non poco i governi dei paesi delle due sponde dell’Oceano. Il testo, che spinge a guardare oltre l’apparenza, venne considerato un racconto a sfondo rivoluzionario, una interpretazione molto distante da quella dell’autore. Il regista Saldanha amplia gli orizzonti della storia originale e nell’odierno Ferdinand forti sono i rimandi ad una cultura “machista”, cui si accompagna una serrata critica alla corrida – che riporta alla mente le parole dell’Hemingway di “Morte nel pomeriggio” – oltre che alla società e alla cultura spagnola.
Ferdinand è un toro enorme e bellissimo con uno sguardo struggente e un cuore grande. Nato nella “casa del Toro”, il più grande allevamento del paese per bestie da arena, Ferdinand disconosce da subito violenza e brama di combattere, elementi comuni ai suoi amici. Dopo aver perso, per mano di “El Primero”, il suo amato padre, Ferd fugge lontano, trovando pace in una fattoria abitata da un uomo con una figlia e un simpatico cane peloso.
Un incidente il giorno della Festa dei fiori nel paese vicino porta alla cattura del placido Ferdinand, presto rispedito alla “casa del Toro”. Inevitabile conseguenza la sua discesa nell’arena de La Placa de Toros di Madrid contro colui che l’aveva reso orfano, il torero “El Primero”. Ma quando Ferdinand, di fronte al torero si siede sulla sabbia dell’arena e decide di non combattere, è in quel preciso istante che vince. Ferdinand ribadisce, di fronte ad una folla gremita e urlante la sua scelta di non violenza, intendendo così dimostrare che “un altro mondo è possibile” fuori da percorsi prestabiliti.
Perché nonostante l’apparenza – è un toro enorme – Ferdinand fa della non violenza il suo stendardo, messaggio e simbolo di un pacifismo necessario oggi più di ieri. Nonostante scelte narrative e personaggi di contorno già visti – la fuga, l’inseguimento, i porcospini trio comico, la capra coach – offre chicche straordinarie, come la scena di Ferdinand nel negozio di cristalli e porcellane.
Assolutamente da vedere.