“Mariti e Mogli”- Monica Guerritore “rivisita” la sceneggiatura del celebre film di Allen- Di scena al Teatro Quirino di Roma
Osservi e partecipi (in ‘full immersion’ generazionale) alla traduzione scenica di “Mariti e Mogli” ed, istintivamente, il pensiero va a Fernado Pessoa, alle rarefazioni del suo intelletto, alla percezione dell’ imprevedibile (che “non è mai” gradita sorpresa), alle finzioni dei tanti non-luoghi con cui si camuffa la sua carnale Lisbona, profumata di oceano. E capisci che non sono gli anni a “passare”, ma siamo noi a “restituirli” al tempo cui appartengono (che ne è padre-padrone). Il quale, a suo piacimento, può fuggir via senza lasciare traccia o, proditoriamente, stazionare in quella dimensione stranita e straniante che, per convenzione, definiamo (e liquidiamo) quale “eterno presente”. Che è cappa soffocante, galassia implosiva, gabbia fisica e mentale da cui si evade a brandelli. Ed all’interno della quale, come nelle insidiose “ronde” intuite da Schnitzler ed Ophuls, diventa aleatorio, indeterminato, dolorosamente intercambiabile il gioco dei ruoli, della funzioni, delle passioni tristi, di un’ ars- amandi velleitaria, insolente, spesso avvilente.
Credo che sia netta e tangibile, nell’adattamento scenico (volutamente?) ‘sottotono’ elaborato (con zelo) da Monica Guerritore dalla sceneggiatura cinematografica di Woody Allen, questa percezione di vacuità, di fatui egoismi e rivalse coniugali . Che sfibrano, ma danno sostanza ad una sfiducia cronica-ontologica sull’inespugnabilità del rapporto a due, sui giuramenti adolescenziali e fideistici. Nei quali – e in senso lato- vanno puntualmente a sbriciolarsi le umane promesse (e annesse relazioni), i patti e le ipoteche dei giorni, degli anni a venire- esposti a quella che, da giovane, mi capitò di definire “libero mercato delle attrazioni” (quasi una giostra di passeggere ‘meraviglie’), il cui solo modo per sottrarsene è la vita da appartati, l’indifferenza dei ‘dissanguati’, l’ adeguarsi a uno scorrimento metodico e reggimentale. E guai a sgarrare, svignarsela o abiurare, se non si vuole che i poligoni d’amore diventino (efferati) poligoni di tiro “al più vulnerabile”. Come ‘”sintagmi, appigli, pozzanghere di vita” che iniziano da fenditure del desiderio- del capriccio, dell’attrazione impertinente, simultanea- ma che hanno “compiutezza” solo nel dolore arrecato, incidentalmente, inesorabilmente, al partner (di turno).
Pianificando una regia basata sulle unità di luogo e di tempo (onde evitare, ed è bene, una scialba ‘illustrazione’ del film) Monica Guerritore fa in modo che la “falla” dei destini intrecciati (ove chi ha deciso di lasciarsi non lo farà, e chi vorrebbe restare si allontanerà) accada in una sorta di “trappola per topi” non tanto dissimile dall’imprinting di Agatha Christie: notte piena e atro salone “che con il passare delle ore diventerà una sala da ballo, una sala d’attesa, un ristorante deserto” ove le “piccole anime borghesi e insoddisfatte girano e rigirano” in fuga da una banalità che è loro consustanziale. Più che a Bergman o Strindberg, l’atmosfera di penombre, singulti di gioia e inanità pregresse rimanda ai “reclusori” di Cechov, alle sue vite (e ville) di campagna, in uggia per le mondanità cittadine cui sommessamente si anela (..a Mosca, a Mosca..).
Sicchè, mentre la danza si spegne, e All of me di Louis Armstrong, Sing Sing Sing di Benny Goodman sono il requiem dei ‘supersiti’, la (nostra) memoria del cinema non può fare a meno di riannodare la breve, immensa distanza che, nella filmografia di Allen, intercorre tra “Crimini e Misfatti” (1989) e “Mariti e Mogli” (1992). Dalle felpate, ferali sequenze del primo (quando la relazione clandestina fra uomo e donna sfocia nella “semplicità del delitto”) alle accomodanti, distratte digressioni di memoria (con slittamenti di auto.inganno) che sono- fra celie e morbide crudeltà- ‘frantumati frammenti’ del vivere in due (“fra tanti, allegri amici”) del Grande Inganno. Del quale la visione della Guerritore ha come soggezione, timore, recondito ossequio. Per osare di frantumarlo per quello che è: uno zoo di vetro, soffiato ed evaporato prima che tutto abbia inizio.
“Mariti e Mogli”
Tratto dal film omonimo di Woody Allen
Adattato e diretto da Monica Guerritore
Con Monica Guerritore, Francesca Reggiani e con Ferdinando Maddaloni, Cristian Giammarini
e con Enzo Curcurù, Lucilla Mininno, Malvina Ruggiano, Angelo Zampieri
scene Giovanni Licheri, Alida Cappellini
Costumi di Valter Azzini Luci di PaoIo Meglio Traduzione di Giorgio Mariuzzo Aiuto regia: Lisa Angelillo Assistente alla regia: Ludovica Coni Nievo Fotografo di scena: Giovanni Chiarot
Roma, Teatro Quirino -da gennaio 2018 in tournée