Si parla di un Senato che non ha raggiunto il numero legale nell’aula di Palazzo Madama per discutere la lunga attesa riforma cittadinanza. Ma non è del tutto corretto. La maggioranza c’era fino a poco prima, quando è stata approvata la Manovra 2018. Chi ha lasciato quell’aula la mattina del 23 dicembre, lo ha fatto consapevolmente. Di proposito. Chi ha lasciato quell’aula ha scelto da che parte stare. Ha votato, pur non votando.
Forse sapevano che dire di no sarebbe stato ingiusto e di dire sì non avevano il coraggio.
Forse non sapevano come giustificare il loro razzismo evidente, le loro leggi discriminatorie e le loro paure irrazionali.
I senatori in aula erano 116, mentre il quorum richiesto è di 149. E così sembra sfumare del tutto la possibilità che questa riforma urgente e necessaria passi durante questa legislatura. Quel che più dispiace è che non è avvenuta nessuna discussione in merito. I nostri senatori non hanno neanche ritenuto opportuno spiegarci il perché si ostinano tanto a combattere questa guerra xenofoba sulla pelle dei figli d’Italia, sulla pelle dei nostri fratelli.
Il ministro degli Esteri Alfano aveva sostenuto che approvare il ddl 2092 ora sarebbe stato “fare un favore alla Lega”. È stato quindi per non perdere consensi in vista della campagna elettorale che i senatori hanno fatto scena muta, dando a noi cittadini italiani la colpa della loro codardia e la mancata riforma? Ci hanno indirettamente accusati di non essere pronti ad accettare la riforma cittadinanza, ma io voglio credere che ci abbiano sottovalutati. Perché lo stesso popolo che ha accolto mio padre a braccia aperte più di 45 anni fa e poco dopo ha dato il benvenuto a mia madre, non può oggi voltare le spalle ai ragazzi e le ragazze che non conoscono altra realtà che quella di questo Paese. Gli italiani senza cittadinanza sono circa 800mila e sono giovani che hanno tutti gli stessi doveri dei nostri figli, ma non gli stessi diritti. Oggi pagano le conseguenze dell’inettitudine di questo governo e di quei 33 senatori che mancavano all’appello.
Sono giovani che diventeranno italiani, che piaccia o meno ai leghisti, i fascisti, i razzisti e gli xenofobi. È un processo inevitabile ma che speravamo di riuscire ad accelerare con questa riforma, visto che avrebbe permesso loro di crescere sentendosi parte di questo Paese che di fatto è anche il loro, ma che per motivi burocratici finisce spesso per marginalizzarli, nutrendo frustrazioni e rancore e rendendo la loro vita un percorso ad ostacoli.
Il mio mestiere mi insegna ad essere sempre oggettiva e oggettivamente parlando, i figli di immigrati possono piacere o non piacere, ma non c’è una ragione logica per essere contrari alla riforma cittadinanza. Chi vi si oppone lo fa perché non ha letto o capito il testo del ddl o per mere questioni politiche/ideologiche. È per questo che oggi più che mai è importante parlare di diritto alla cittadinanza, “seconde generazioni”, ius soli temperato e ius culturae. È importante informare ed informarsi su questi temi. È importante ricordare tutte le condizioni a cui dovranno sottostare i genitori del bambino nato in Italia affinché lui possa ottenere la cittadinanza. È importante cercare di capire chi siamo e chi sono le persone che abbiamo intorno ed è importante non avere dubbi, perché è della nostra confusione che si approfitta chi vuole strumentalizzare le nostre paure.
Io la cittadinanza l’ho ottenuta alla nascita grazie alla generosità di un signore di nome Francesco Povia, un italiano qualunque che scelse di adottare mio padre, un ventenne pakistano a cui si era affezionato e che sognava una vita migliore in Europa in un’epoca in cui l’Italia non conosceva razzismo e pregiudizi.
Molti mi hanno chiesto perché mi interessa tanto questa riforma se io la cittadinanza la ho già. A tutti loro vorrei dire che l’indifferenza tipica dei nostri tempi è il male più grande che ci affligge. È nostro dovere lottare a fianco di chi viene discriminato ingiustamente e forse se avessimo adempito a questo dovere per tempo, i nostri senatori non avrebbero avuto la forza di fermarci.
D’altronde chi sono loro per decidere quando e chi possiamo considerare italiano? Per sentirsi italiani, non serve trascorrere qui un tot di anni, non servono documenti, cittadinanza o qualsivoglia ius. Per sentirsi italiani basta poco; basta una società che sia migliore dello Stato e che faccia un passo avanti, senza paura, come fece nonno Francesco. Non possiamo più permetterci di restare in silenzio mentre c’è chi viene privato dei propri diritti, altrimenti saremo davvero colpevoli. È arrivato il momento di decidere da che parte stare: quella della ragione e della logica o quella della paura e dell’ignoranza?