E’ recentissima la proposta di Piersilvio Berlusconi di imporre alla Rai un tetto pubblicitario più stringente in quanto la Rai sarebbe un ibrido, unico in Europa, che attinge le proprie fonti finanziarie dal canone e dalla pubblicità, intromettendosi abusivamente nel mercato pubblicitario radiotelevisivo già asfittico. Di poco precedente è la proposta di Cairo (Minoli se ne è fatto più volte portavoce nel suo programma su La 7) di destinare una quota del canone, anziché alla Rai, alle emittenti private che trasmettano programmi di servizio pubblico (cioè, manco a dirlo, La7!).
E’ anche di non molto tempo fa la paradossale (visto il ruolo rivestito) dichiarazione del Ministro Calenda che ha auspicato la privatizzazione della Rai e la distribuzione del canone tra le emittenti che offrano programmi di servizio pubblico. Quindi, all’unisono, Piersilvio vorrebbe togliere alla Rai la pubblicità, Cairo il canone e Calenda la concessione. L’attacco è concentrico.
E’ singolare che i due maggiori operatori privati radiotelevisivi terrestri, anziché badare al loro ruolo sul mercato, si preoccupino di ridimensionare il servizio pubblico; ed è altrettanto singolare che proprio il Ministro concedente (Calenda) – che ha appena approvato la Concessione-Convenzione decennale alla Rai e si appresta a siglare il Contratto di servizio – avverta l’esigenza di rendere pubblico il suo orientamento – oltretutto a tempo scaduto – come una qualunque persona estranea ai fatti.
Ora, mentre la posizione di Calenda appare quantomeno poco sostenuta dal quadro normativo vigente (la riforma del 2015 prevede per legge che la concessione di servizio pubblico vada assentita alla Rai) le altre due “proposte” in effetti si configurano come azioni di lobby per premere su norme ancora in discussione.
Piersilvio Berlusconi accusa ora la Rai di esercitare il dumping, la vendita sottocosto degli spot pubblicitari, dopo aver tentato in precedenza, ma senza successo, di far passare il principio che il tetto sulla pubblicità si applichi a Rai canale per canale e non cumulativamente su tutti e tre i canali (sul punto né la nuova Convenzione né il Contratto di servizio in fase di approvazione autorizzano interpretazioni limitative). E’ allo studio in Vigilanza anche una risoluzione che censuri come politiche antidumping le pratiche ribassiste di Rai e imponga codici di autoregolamentazione a garanzia degli assetti concorrenziali di mercato, ma senza tener conto che Rai non opera nel mercato di Mediaset e di La7 con il medesimo ruolo concorrenziale, avendo i ricavi pubblicitari una funzione meramente integrativa del canone e non affermativa di una posizione dominante o di un suo abuso, sospetto peraltro escluso in re ipsa dal più stringente limite di raccolta al 4% dell’orario settimanale rispetto al 15% dell’orario giornaliero delle private.
Anche la posizione di Cairo potrebbe incidere su una norma attualmente in discussione in sede d’approvazione della legge di bilancio: l’esclusione di Rai dall’elenco Istat delle società controllate dal Governo.
Se, infatti, la Rai fosse nell’elenco Istat, il cui “genius loci” è l’esecutivo, sarebbe il Governo a decidere discrezionalmente sulla distribuzione del canone che non sarebbe più, pertanto, una imposta di scopo. D’altronde, di tale discrezionalità già si è fatta esperienza con il prelievo forzoso dei 150 milioni dal canone di abbonamento.
A prescindere dal Ministro Calenda, che con una mano firma la Concessione alla Rai e con l’altra dichiara di volerla privatizzare, ci si aspetterebbe che Mediaset investisse in Premium (la sua piattaforma digitale a pagamento), e contendesse i clienti pubblicitari ai propri naturali concorrenti commerciali, a SKY e La7. Ci si aspetterebbe che anche La7, anziché saturare i palinsesti di talk e news da prospettare come simil servizio pubblico, come è stato rilevato (“La7 è in caduta libera: il taglio dei costi affossa l’audience ma Cairo sogna il canone” Business insider del 9/12/2017), investisse nella produzione audiovisiva; invece Mediaset vorrebbe sottrarre alla Rai pubblicità e La7 vorrebbe appropriarsi del canone.
Per tutte queste buone ragioni, sarebbe bene che si completasse rapidamente il plesso normativo che regola il servizio pubblico (legge di riforma Rai, Concessione, Convenzione e Contratto di servizio) e nella legge di bilancio si sancisse definitivamente che la Rai non è inclusa nell’elenco Istat delle società governative.