Il “teste alfa” rimarrà per sempre senza un nome perché ha paura delle conseguenze delle sue dichiarazioni ma è lui, un tecnico che lavora tuttora nel settore dei rifiuti, ad aver sollevato il velo su 30 anni di bugie, veleni e ritardi attorno alla discarica di Borgo Montello. Nel sito alle porte di Latina , quarto in Italia per grandezza, sono stati smaltiti sei milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani. Un disastro dietro al quale ci sono la gestione di Ecotecna e il fallimento Ecomont ma cui non si sarebbe posto rimedio in modo adeguato anche nelle fasi successive. E’ una verità scomoda e indigesta quella che emerge dalla relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta approvata all’unanimità e che riscrive la storia insabbiata di quella discarica, grazie ad una informativa della squadra mobile di Latina redatta nel 2013 sulla base di informazioni confidenziali di testimoni che non ha firmato le loro dichiarazioni per paura di ritorsioni e conseguenze anche fisiche.
Quelle dichiarazioni coincidono con quanto sostenuto da anni dagli ambientalisti e dai residenti della zona, ma anche dal pentito Carmine Schiavone che già nel 96 aveva affermato che il clan dei casalesi sversava fusti tossici (fra i 300 e i 400 al giorno) nella discarica di Montello grazie alle coperture di un emissario di famiglia, Michele Coppola, e alla gestione di Antonio Salzillo, nipote di Ernesto Bardellino, ucciso in provincia di Caserta nel 2009. Dunque nel 2013 il capo della mobile di Latina, Tommaso Niglio, ritrova tre testimoni dell’epoca degli sversamenti,, li ascolta come fonti confidenziali e quelle dichiarazioni coincidono con quanto detto da Schiavone. Ossia che tra la fine degli anni 80 e l’inizio dei 90 i casalesi portarono fusti a Montello, nei siti S1,S2,S3 e B2 (quest’ultimo comunque autorizzato per rifiuti industriali).
La ricerca dei fusti a Montello in realtà ci fu, costò 800mila euro alla Regione Lazio ma i carotaggi furono effettuati nel posto sbagliato, in S0, dove c’era solo un deposito interrato di omogeneizzati, il metallo individuato dalle precedenti rilevazioni di Ispra. Dunque i veleni furono cercati dove non stavano. Una svista plausibile solo se la si inquadra nelle molte altre che riguardano la discarica: è accertato che le falde acquifere soggiacenti sono inquinate, lo riporta la stessa relazione e lo ammette anche l’ultimo gestore di quei siti, l’amministratore di Ecoambiente (società partecipata indirettamente dal Comune di Latina, tramite la Latina Ambiente, ora fallita) il quale in audizione ha detto: “In 25 anni, dal 1971 fino al 1997, in pratica di abbandono, di conferimento incontrollato dei rifiuti, tutto il percolato e tutto il biogas non idoneamente recuperato e trattato, hanno contaminato le matrici ambientali, tra cui il terreno, le acque di falda profonde e le acque superficiali. Lì vicino, infatti, c’è il fiume Astura”. Ecoambiente è la società subentrata a Montello nel 2000 per risanare, ma i suoi primi amministratori sono imputati in un processo per avvelenamento delle falde, nel quale il Comune non è parte civile e che comunque non riesce a decollare per vizi di procedura. La presenza di rifiuti tossici, ora supportata dalle prove raccolte dalla Commissione, potrebbe aggravare la situazione, già grave, delle falde.
La discarica di Montello è nata male ed è cresciuta peggio. Risulta sempre dagli atti della Commissione che il clan dei casalesi aveva, tramite prestanome, la proprietà dei terreni confinanti con la discarica e li detiene fino al 2008 quando questi vengono ceduti dal titolare Michele Coppola, uomo del clan e parente di Schiavone, alla società Indeco che li compra per poter ampliare il suo invaso, uno dei due in funzione. L’altro era, appunto, gestito da Ecoambiente su terreni che sono stati di recente confiscati perché tra le proprietà del faccendiere Giovanni De Pierro, accusato di riciclaggio. Ad oggi nessuno dei due invasi funziona, quello di Ecoambiente è saturo e in attesa di autorizzazione per il sovralzo, quello di Indeco è stato sequestro del Tribunale di Latina per l’accertato superamento dei volumi autorizzati. Dunque la fotografia scattata dalla Commissione sul ciclo illecito dei rifiuti arriva quando la discarica nel suo complesso è ferma. Le stesse informative della squadra mobile di Latina pervenute alla Commissione parlamentare sono stare valutate dalla Procura di Latina, che ha chiesto l’archiviazione, dunque al momento non ci sono indagati.