Anche da morto Federico Aldrovandi continua a dare fastidio. Il ragazzo ucciso a 18 anni, nel 2005, da quattro poliziotti – condannati a 3 anni e sei mesi per “eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi” – torna a far parlare di sé grazie alla curva della Spal. Federico era di Ferrara e da parecchi anni la Curva Ovest sventola un bandierone bianco e blu con dipinto il volto di quello che Gianvittorio De Gennaro su “Il Romanista” definisce “un eterno diciottenne a cui è stato negato il futuro”. Al Mazza il volto del ragazzo, tifoso spallino, compare da anni nel disinteresse di tutti. Poi la Spal torna in Serie A e arriva all’Olimpico dove l’occhiuta polizia della Capitale decide di non far passare quella bandiera, col volto di Federico. I tifosi ferraresi entrano allo stadio ma decidono di protestare, con lo sciopero del tifo. Altre curve decidono a quel punto, nelle domeniche successive, di sventolare anch’esse il vessillo di Federico. Una scelta che però comporta sanzioni disciplinari del giudice sportivo perché “provocatorio nei confronti delle forze dell’ordine”. Per questa “provocazione” sono state per ora sanzionate le curve di Siena e Prato.
Il tutto mentre siamo ancora in attesa da due mesi della sanzione per un ‘altra – ben più grave – provocazione: quella fatta dal calciatore Eugenio Maria Luppi che dopo aver segnato a Marzabotto ha fatto il saluto romano mettendo in mostra anche una maglia della Repubblica di Salò. Per la sua “provocazione” per ora registriamo il silenzio del giudice sportivo. Anzi, il giocatore – che nega di aver fatto il saluto romano ma tace sul perché indossasse – sotto la divisa – la maglia con l’aquila imperiale – è stato persino premiato con un doppio salto di categoria e ora gioca (malgrado i presidi di protesta di Anpi, Fiom e Cgil) per il Borgo Panigale.
Sanzionare una bandiera per un diciottenne morto per mano dello Stato e ignorare chi si fa beffa dei 3200 Martiri di Marzabotto non ci sembra un buon modo di amministrare il mondo del calcio.