E’ stata una delle stragi più cruente e sanguinarie degli ultimi anni in Egitto, 235 morti e oltre 100 feriti. Li hanno trucidati mentre erano indifesi, a pregare nella moschea della cittadina di Bir al-Abd, nel Sinai.
Dopo le forze di sicurezza, i turisti e i cristiani, l’Isis questa volta ha colpito la comunità dei sufi: nella sua guerra ormai totale contro il presidente Abdel fattah Al Sisi, ciò che resta dello Stato Islamico in Egitto ha preso di mira un’altra componente della società egiziana che contrasta con la sua delirante interpretazione dell’islam.
L’imam della moschea colpita dall’attacco terroristico organizzava due volte a settimana culti sufi e aveva ricevuto di recente minacce che puntavano a farlo smettere. Ha pagato la disobbedienza a chi non gradiva il suo modo di praticare i precetti islamici con una ventina di colpi.
Il sufismo è una dottrina e disciplina di perfezionamento spirituale dell’Islam che punta a preservare la comunità dal rischio di un irrigidimento della fede.
Per l’Isis sono ‘apostati’, fedeli che hanno abbandonato le prescrizioni inalterabili di Maometto, come ha ricordato il sito egiziano Al Masreyin. Quello che appare come il primo attentato dentro una moschea in Egitto, oltre a richiamare scenari iracheni è sicuramente l’episodio più sanguinoso della guerra a bassa intensità che le forze di sicurezza combattono nel Sinai nord orientale dalla metà del 2013, quando cadde il presidente islamista Mohamed Morsi. Anche l’attentato al charter esploso in volo il 31 ottobre 2015 nel nord della penisola e rivendicato dall’Isis aveva ucciso 224 persone.
Le azioni kamikaze contro le due chiese copte a Tanta e Alessandria avevano causato in aprile almeno 47 morti e, rivendicati dall’Isis, puntavano dichiaratamente a scardinare la pace religiosa che, con qualche violazione minore, regna in Egitto.
Terrorismo islamico, dunque, che colpisce indistintamente musulmani e cristiani in ogni latitudine e longitudine.
Il bilancio delle vittime di quest’ultimo attentato è stato significativamente importante e ha falciato, soprattutto, vite giovanissime. Alcuni erano solo dei ragazzini. Eppure la portata della reazione mediatica e della mobilitazione collettiva è stata a dir poco imbarazzante.
Questa, finora, la constatazione dei fatti a cui segue un’amara considerazione. Ancora una volta assistiamo a un parallelo ignobile: da un lato i morti ‘occidentali’, quelli di serie A, dall’altro quelli mediorientali, asiatici e africani, di serie B. E mi chiedo e vi chiedo: se l’empatia per la Francia e la Spagna, di cui possiamo percepire e condividere la paura nel rendersi conto che il proprio paese, il luogo dove si supponeva di essere al sicuro, sia sotto attacco, è totale e globalizzante, non dovrebbe essere altrettanto naturale piangere e ricordare le vittime egiziane, irachene, yemenite che non riceveranno lo stesso supporto da parte dell’Occidente?
E invece l’attenzione dedicata a quest’ultime, a causa della lontananza dei luoghi in cui si è consumato il loro dramma o per le appartenenze religiose, è debole, sbiadita. Anzi. L’unico effetto evidente è che interi popoli continuano a essere ostracizzati per gli atti imperdonabili di un piccolo gruppo di mostri. Ma la vita di un musulmano innocente non è meno preziosa di quella di un cattolico in Europa o di un cristiano negli Stati Uniti.
Crimini orrendi si sono susseguiti nel nostro continente sempre a frequenza maggiore ma si stanno verificando a un ritmo ancora più allarmante in Medio Oriente e in Africa, eppure non si ‘illuminano’ edifici né cambiano i profili sui social a sostegno delle vittime e delle loro famiglie di queste realtà che forse alcuni ritengono responsabili quanto i terroristi che ci colpiscono. Ed è su questo che bisognerebbe riflettere e ammettere ipocrisie e indifferenza di una parte di mondo che alimentano ulteriore odio e terrore.