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Ricordando Marco Ferreri con “I love…”

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Un investigatore privato si interroga sul perché continui a sognare King Kong riverso a terra sullo sfondo di una New York in cui svettano ancora le Torri gemelle. Il suo – lamenta – è “uno stramaledetto mestiere che faccio da troppi anni e che proprio ora che volevo mollarlo, ecco una nuova indagine in cui il mio cliente sono io stesso…”

Un’apertura insolita quella di “I love….Marco Ferreri”, in sala dal 30 novembre con Cinedea, opera di Pierfrancesco Campanella, a metà tra fiction e documentario, un omaggio al geniale regista milanese in occasione del ventennale della sua morte. Innovatore e visionario, dissacrante e anticonformista. Certamente non allineato e alquanto politicamente scorretto. Forse è proprio per queste sue peculiari caratteristiche che il pubblico sembra averlo dimenticato. O metaforicamente ucciso, come il poliziotto del film crede sia accaduto.

E per risolvere il caso, il detective parte proprio dalle “tracce”. E’ così che inizia un viaggio attraverso le più importanti opere del regista, da “Ciao Maschio” a “La Grande Abbuffata”, passando per “El Cochecito”, “Storie di ordinaria follia”, “I love you”, “Nitrato d’argento” e i contributi di colleghi ed esperti tra cui spiccano Michele Placido, Piera Degli Esposti, Orio Caldiron, Emanuele Pecoraro cui si aggiungono immagini di repertorio. Attraverso una surreale indagine Campanella tenta di riportare in vita un cinema dimenticato, individuando il “colpevole” della morte di Ferreri: la società dei consumi, che il regista aveva sempre stigmatizzato.

Una società indubbiamente peggiorata dall’avvento della televisione commerciale, dal fiorire dei reality show, dall’uso sconsiderato dei social network, dal conseguente imbarbarimento dei rapporti umani, e dall’omologazione culturale frutto di una globalizzazione senza sosta. E la genialità di Ferreri è rinvenibile proprio nel suo ruolo di “preveggenza”, ovvero precursore di questa società frustrata e alienata.

“I love… Marco Ferreri” si pone come una indagine postuma, tra reale e surreale, sui mutamenti sociali degli ultimi anni, attraverso l’occhio di un artista fuori dal coro.


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