Da una indagine nei quartieri periferici di cinque città europee (Milano, Londra, Parigi, Budapest, Barcellona) emerge che i migranti, e tutti coloro che vivono ai margini della società (senza dimora, tossicodipendenti),rappresentano il peggiore incubo dei cittadini residenti, perché esprimono la precarietà e la fragilità della condizione umana
MILANO – Non basta arrestare ladri e rapinatori per sentirsi più sicuri. Il senso di insicurezza e di paura di moltissime persone ha origini più profonde. Un gruppo di ricercatori italiani dell’Università Bicocca ed europei ha condotto uno studio in due quartieri di cinque città: Milano, Londra, Parigi, Budapest, Barcellona. A Milano, in particolare, hanno intervistato residenti nei quartieri di Rogoredo-Santa Giulia e Gratosoglio-Ticinello. E quel che hanno scoperto è, per certi versi, sotto gli occhi di tutti ogni giorno: ciò che ci rende insicuri, ciò che ci fa sentire in pericolo, è la trasformazione che sta avvenendo nei quartieri, nelle nostre strade. Non ci sentiamo più parte di una comunità. “Il materiale empirico raccolto nel corso della ricerca – scrivono gli studiosi -, ha messo ben in luce come nei quartieri delle città oggetto d’analisi i migranti, e tutti i soggetti che vivono ai margini della società (senza dimora, tossicodipendenti ecc.) rappresentino il peggiore incubo dei cittadini residenti, perché esprimono la precarietà e la fragilità della condizione umana. In un certo senso rappresentano l’essere ‘superflui’, quello che ognuno di noi, a causa della pressione di questo sempre più precario equilibrio economico, potremmo diventare e che vorremmo velocemente dimenticare. I migranti sono diventati per innumerevoli motivi i principali portatori delle differenze di cui abbiamo paura e contro cui tracciamo confini”. Non ci sentiamo più sicuri, perché non ci sentiamo più “a casa”. Usciamo dal nostro appartamento e il quartiere nel quale magari viviamo da decenni non lo riconosciamo più. E così tutto ciò che è diverso e sconosciuto, lo percepiamo come un pericolo. Rompe l’equilibrio che avevamo raggiunto nel corso degli anni.
La ricerca è stata presentata oggi a Milano, durante il convegno “La lezione delle periferie”. L’insicurezza, dunque, nasce da come viviamo i cambiamenti delle nostre città. “Cambiamenti che riguardano tanto gli aspetti urbanistici e architettonici (trasformazioni e/o degrado di strutture e infrastrutture) quanto la morfologia sociale delle città -sottolineano i ricercatori – . Il costante e profondo ricambio della composizione socio-demografica dei quartieri, le trasformazioni del tessuto economico e commerciale, la presenza di conflitti fra popolazioni che usufruiscono in maniera fortemente differenziata degli spazi pubblici, sono processi strettamente intrecciati e generano una sensazione diffusa di perdita di controllo sulle condizioni all’interno delle quali si svolge la vita quotidiana nelle aree urbane. L’habitat urbano, in sostanza, risulta insicuro per i suoi utilizzatori perché si trasforma sempre più velocemente, dal punto di vista sia fisico sia sociale; questi cambiamenti rendono i quartieri sempre più distanti, anonimi e insicuri”.
Di fronte ad una paura non legata a episodi criminali specifici, la reazione è quella di crearsi comunque un nemico. “Può sembrare paradossale, ma l’esplosione del conflitto sembra rispondere al bisogno di ripristinare una forma di controllo su un ambiente urbano sempre meno familiare. Tali conflitti, peraltro, sempre più di frequente si declinano in termini securitari e vedono coloro che continuano a detenere una posizione di relativo vantaggio (in genere, i residenti di lunga data nel quartiere) evocare l’intervento repressivo della mano pubblica per ripristinare un ordine sociale che non può scaturire da processi sociali endogeni e informali”. Si ha bisogno di un capro espiatorio. “L’ansia collettiva, in attesa di trovare una minaccia tangibile contro cui manifestarsi, si mobilita contro un nemico qualunque e, spesso, lo straniero viene identificato tout-court con il criminale che insidia l’incolumità personale dei cittadini e i politici tendono a sfruttare questo disagio a fini elettorali”. (dp)