Ostia e il suo “Compound” di Nuova Ostia non sono un’enclave impazzita, delinquenziale, all’estrema periferia di Roma. Non sono un corpo estraneo alla Capitale “infetta” per il malaffare e la mala amministrazione, intrisa del virus della malavita organizzata.
Un tempo era il Lido di Roma, dove le famiglie popolari nell’epoca del Boom trascorrevano le domeniche o le vacanze ferragostane, raggiungendo le spiagge con il trenino dai sedili di legno, o lungo la fantomatica “autostrada del mare”, costruita in epoca fascista, con la sua terza corsia di mezzo micidiale e assassina. Un’appendice “felix” della capitale, quasi disabitata fuori stagione, per poi ripopolarsi tra primavera ed estate. Ostia comincia a trasformarsi, a snaturarsi, a metà degli anni Settanta, quando anche fuori stagione la popolano i malavitosi della Magliana, non solo quelli della famigerata “Banda”, intrisa di neofascisti e camorristi, ma anche gente che ha fatto fortuna illegalmente e vive nei “quartieri alti” della Capitale.
In contemporanea viene “risanata” la zona paludosa e inquinata di Nuova Ostia con la costruzione di palazzi popolari, dove vengono rinchiusi come in una “Riserva indiana” gli ex-abitanti delle baraccopoli storiche romane, i popolani dei vecchi quartieri del centro storico (Campo de’ Fiori, Trastevere, via dei Coronari e Tor di Nona, che subiscono una trasformazione radicale con il risanamento delle case fatiscenti a residenze per i nuovi ricchi). A questi, già in parte con la presenza di delinquenti abituali e prostitute, si aggiungono con prepotenza e stile omertoso i cosiddetti Sinti, di origine tzigana, che si impadroniscono degli alloggi già assegnati e che cominciano a dettare la loro legge nel Compound e sul litorale.
Una volta saldatasi l’alleanza tra quest’ultimi e i malavitosi della Magliana, ecco che la miscela velenosa si trasforma in controllo militarizzato del litorale romano: prima con l’usura e la prostituzione, poi con la droga e la “protezione” delle attività commerciali, specie gli stabilimenti, dalle spiagge di Torvaianica a Sud fino a Ladispoli a Nord, diventano “terra di mezzo”. Un’enclave dove gli onesti commercianti o proprietari delle licenze demaniali vengono costretti ad assumere personale “fidato”, che poi di fatto li controllano, a servirsi di determinati grossisti per gli acquisti alimentari, ad attuare una sorta di cartello dei prezzi, a far circolare droga tra gli habitué degli stabilimenti e delle discoteche, a mantenere aperti i locali balneari la sera, soprattutto ad indebitarsi a strozzo tramite la loro “banca parallela”.
In questi decenni, la politica è rimasta assente e la società civile del litorale si è sentita abbandonata e impossibilitata a reagire. Le forze dell’ordine, scarse ed inefficienti di fronte ad un fenomeno così esteso e capillare, riescono solo a svolgere un ruolo di ordinaria amministrazione anticrimine. Intanto, Roma è infettata a morte dal virus della “mafia” anche dentro le Mura Aureliane.
“La mafia a Ostia c’è, si respira”, ha commentato di recente Alfonso Sabella, già magistrato antimafia ed ex-assessore capitolino alla Legalità sotto la giunta Marino: “gli omicidi, gli attentati, il racket verso i commercianti, i parenti dei criminali dotati di privilegi, il caporalato degli stabilimenti balneari. Non ho bisogno di sentenze passate in giudicato per dire che il territorio somigli moltissimo alla Sicilia degli anni ’80, che proprio come Ostia puntava fortemente all’autonomia per sottrarsi al controllo centrale”. Secondo Sabella, inoltre: “è vero che l’argomento mafia è uscito dalla campagna elettorale, non se n’è parlato, e questo è stato un male”. Eppure il Municipio era stato sciolto dal 27 agosto del 2015, dopo che erano stati arrestati Andrea Tassone, minisindaco Pd coinvolto nell’inchiesta “Mafia Capitale” e condannato in primo grado a 5 anni di carcere (ma fino ad allora difeso dai vertici del Partito Democratico), insieme al direttore del municipio e al primo dirigente del commissariato di polizia (accusato di favorire la criminalità organizzata).
Rincalza la dose di scetticismo sulla disattenzione cronica da parte dei politici locali e nazionali, il Procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone: “A Roma le mafie esistono e lavorano incessantemente nel traffico di stupefacenti, nel riciclaggio di capitali illeciti, nell’usura”. Dopo la sentenza emessa dal Tribunale sul processo di primo grado agli imputati dell’inchiesta “Mafia Capitale”, che però escludeva la “mafiosità dell’organizzazione Buzzi-Carminati”, Pignatone ha, da parte sua, puntualizzato: “La sentenza ha riconosciuto che a Roma ha operato una associazione criminale che si è resa responsabile di una pluralità di fatti di violenza, corruzione, intimidazione. E che l’indagine della procura romana ha svelato un sistema criminale capace di infiltrare il tessuto amministrativo e politico della città fino al punto di avere a libro paga amministratori della cosa pubblica. Il problema mafia esiste ed esiste da tempo. Basterebbe ricordare che sulla mafiosità della Banda della Magliana esistono due sentenze della Cassazione”.
Eppure, bastava che gli esponenti politici nazionali e locali, sia durante la campagna elettorale per l’elezione del sindaco di Roma (poi vinta dai 5Stelle con la Raggi, supervotata ad Ostia), sia in queste ultime settimane, avessero ascoltato le denunce dell’associazione di Don Ciotti Libera (presente da anni sul territorio), avessero parlato con i negozianti e i titolari degli stabilimenti balneari, per rendersi conto di quanto lo Stato fosse ed è tutt’ora assente; di come l’omertà è divenuta il sintomo dominante della paura decennale per i soprusi, le intimidazioni e le ritorsioni violente che subiscono. E così abbandonati a se stessi, i romani e gli abitanti di Ostia al momento del voto hanno disertato le urne, punendo soprattutto i partiti “vecchi e insensibili” per rivolgersi, quelli che sono andati a votare, verso movimenti che esprimevano le sensibilità opportunistiche, quando addirittura erano ben visti dagli stessi clan. Le percentuali di votanti parlano chiaramente: dal 50% alle comunali si è passati al 36%, che diventa 33% con le schede bianche e nulle! Tendenza che deve preoccupare e impressionare da sinistra a destra, in previsione delle elezioni politiche del 2018.
Ostia, infatti, anche se Compound “mafiosizzato” di Roma, è pur sempre un “sentiment”, un test da non sottovalutare, perché profetizza come a sinistra dal PD (ridotto alla testimonianza del 13% rispetto ai trionfi di un tempo) esiste una realtà legata ai movimenti civili, i quali comunque stentano a superare la cosiddetta “Destra sociale” come CasaPound. Quest’ultima è la vera affermazione elettorale, che pur nelle sue ambiguità (oggi venute alla luce, come la contiguità di alcuni candidati con gli esponenti della famiglia Spada) è stata l’unica organizzazione che ha mostrato qualche interesse ai problemi concreti degli abitanti di Ostia. Insomma, oltre ad una destra “responsabile”, guidata da Forza Italia, e ad un’altra euroscettica, a trazione Salvini-Meloni, ecco che si è affacciata anche una nuova Destra, come in Germania, che pensa più al territorio nazionale e meno ai grandi temi, ritenuti astratti e lontani dalla quotidianità, come l’Europa.