Devo dire che la recente sentenza della Cassazione che ha accolto il ricorso della Procura di Trapani contro la mia assoluzione è una pronuncia che ci fa mettere i piedi per terra. Ci fa aprire gli occhi sulla realtà. La sostanza è questa: da una parte migliaia di studenti, di giovani, come quelli che ogni anno per il 23 maggio vengono a Palermo a gridare che la mafia è una montagna di merda, dall’altra parte la Cassazione che sostiene essere un illecito indicare con nomi e cognomi gli appartenenti a questa montagna, impossibile quindi additarli come pezzi di merda per far parte o aver fatto parte di questa montagna. Io non ho detto che Mariano Agate, defunto 4 anni addietro, boss indiscusso di Mazara, uomo cerniera tra mafia e massoneria, è stato uno stupido, un demente, ho detto semplicemente che faceva parte della enorme montagna di merda della mafia e per essere stato un rilevante pezzo di questa montagna l’ho sottolineato come un gran bel pezzo di merda. In primo grado il pm Belvisi della Procura di Trapani ha chiesto il processo “per avere offeso la reputazione del signor Mariano Agate” – leggete sul vocabolario a cosa corrisponde il termine reputazione, solo ad una concezione positiva della persona, e Agate è stata una persona che altri giudici hanno detto essere lontana da una buona reputazione – a termine del processo il pm ha chiesto la mia condanna a 4 mesi, dinanzi all’assoluzione, pronunciata dal giudice Visco “col visto l’articolo 21 della Costituzione”, ha presentato ricorso in Cassazione dove il pg ha chiesto inammissibilità del ricorso.
I giudici della quinta sezione della Cassazione sono stati di altro avviso. Adesso il processo approderà dinanzi alla Corte di Appello di Palermo, ma pur nel profondo rispetto dell’ordine giudiziario mi viene da dire che la sentenza della Cassazione mostra un pericoloso, indiretto, invito, non tanto solo ai giornalisti, ma ad un po’ tutti gli appartenenti alla società civile alla quale spesso, i magistrati e i giudici per primi si rivolgono sottolineando che la lotta alle mafie non è qualcosa che appartiene solo a magistratura e forze dell’ordine. La sentenza della Cassazione rischia di trasformarsi in un invito all’omertà. Si rivolge così a quei giovani che ogni anno a Palermo nell’anniversario delle stragi del 1992 arrivano per schierarsi contro i mafiosi di ieri e di oggi. Per sentenza si vuole vietare di pronunciare i nomi degli appartenenti a questa montagna, quasi, mi viene da dedurre, una istigazione all’omertà, non fare i nomi significa essere omertosi, e sappiamo benissimo , sopratutto qui in Sicilia, che la mafia vive anche grazie ai silenzi. Sono imputato per avere usato una frase che è entrata a fare parte della storia culturale, almeno di quella larga parte del nostro paese che lavora, che cerca di costruire ogni giorno una società più giusta senza le mafie. La mafia è una montagna di merda (e in questa frase, c’è chi ha giustamente detto, la merda non è la parolaccia) è una frase che appartiene a Peppino Impastato, ammazzato da Cosa nostra a Cinisi anche per avere scritto questa grande verità, gridandola anche da Radio Aut.
La mafia è una montagna di merda e ogni mafioso, vivo o morto che sia è un pezzo di questa montagna, per i delitti, le stragi, le offese condotte alle vittime innocenti e ai loro familiari che poi hanno dovuto anche affrontare l’onta del mascariamento attuato sempre dagli assassini mafiosi, della moralità dei loro congiunti ammazzati. Il mafioso Mariano Agate è stato riconosciuto colpevole di stragi e delitti, anche di avere partecipato all’eccidio di Capaci. Era perciò un pezzo, anzi un gran bel pezzo di quella montagna idealizzata da Peppino Impastato. Il giornalismo per me è qualcosa di consacrato alla ricerca della verità e spesso è accaduto ad altri giornalisti, è accaduto anche a me, di ricevere il consiglio di abbassare i toni per non creare danno alla nostra terra. Io continuo a pensare che il miglior modo di difendere questa nostra terra siciliana, come pensava anche un giornalista che si chiamava Mauro Rostagno, il miglior modo di fare pubblicità al bello di questa terra, è quello di dire in modo forte e chiaro che la mafia va abbattuta, perché la mafia, così diffusa nel tessuto sociale, sporca, insozza, offende, la società civile che di essa deve dunque essere ripulita , continuo a pensare, non solo attraverso l’azione giudiziaria, ma anche e soprattutto da una forte e diffusa coscienza civica.