Confesso che ho sempre amato Goffredo Mameli più del suo “Canto degli italiani”, ma ormai “Fratelli d’Italia” è l’inno che ci è entrato nelle orecchie e nel cuore ed è diventato tutt’uno con il tricolore repubblicano. Personalmente mi è entrato dentro quando da giovane, molti anni fa, facevo sport e mi capitava di vincere qualche gara e saliva il tricolore e suonava l’inno. Recentemente, forse i primi sono stati i calciatori, è diventato usuale cantarlo a squarciagola, almeno nelle sue prime strofe, e non di rado più di qualcuno si mette la mano sul cuore. Ma ai miei tempi non era così. L’inno lo si ascoltava, per rispetto, in silenzio, anche perché le parole sono complicate e si rischia di stonare. E poi, niente mano sul cuore ad imitazione di quello che fanno gli americani (nel senso di Stati Uniti d’America), perché si stava in piedi sull’attenti, guardando il tricolore. Forse era un modo, un po’ più sobrio e severo, per attenuare la retorica, per evitare le stonature e gli eccessi.
Quel frammento di retorica patriotica mi è rimasto dentro anche se, per le idee che mi frullavano per la testa, a quei tempi non era tanto scontato. Adesso questo inno, con il testo di Mameli e la musica di Novaro, non è più “provvisorio”, come era stato sancito nel 1946, subito dopo la proclamazione della Repubblica, ma per tutti noi nati nel dopoguerra, è sempre stato unico e definitivo. Forse andrebbe suonato più lentamente, come suggerisce Ennio Morricone, per dargli più solennità, e forse andrebbe studiato a scuola perché è un sunto di storia d’Italia e dei suoi miti risorgimentali. Ma gli eventuali “difetti” dell’inno vengono cancellati dalla storia del suo autore, Goffredo Mameli, giovane garibaldino, rivoluzionario e repubblicano, pieno di amor di patria, che per lui significava Libertà e Costituzione secondo gli insegnamenti di Mazzini. Goffredo Mameli muore nel 1849, ad appena 22 anni, quando combatte per la difesa della Repubblica romana, che prima di cadere sotto l’urto delle truppe francesi intervenute in difesa del Papa Re, era riuscita a promulgare la prima, davvero bella, Costituzione repubblicana “vissuta” soltanto per poche ore. Gli italiani dovranno aspettare quasi 100 anni, per arrivare ad avere, dopo e grazie alla Resistenza al nazifascimo, la nuova e definitiva Costituzione che dovrebbe guidarci quotidianamente.
Quindi, senza retorica, e anche se forse non siamo più “pronti alla morte”, ricordiamo che:
“Noi siamo da secoli / Calpesti, derisi, / Perché non siam popolo, / Perché siam divisi. / Raccolgaci un’unica / Bandiera, una speme: / Di fonderci insieme / Già l’ora suonò”.
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