Parte dell’articolo 48 della Costituzione Italiana recita così in materia di voto:
<<Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico>>.
il 5 novembre scorso Ostia, dopo due anni di commissariamento per mafia, è andata a votare per le amministrative. A seggi chiusi l’affluenza era stata bassissima, aveva votato solo il 36,15% delle persone aventi diritto. I pronostici sull’astensionismo in vista del ballottaggio previsto per domenica 19 novembre tra la candidata del centrodestra Monica Picca e la candidata del Movimento 5 Stelle Giuliana Di Pillo, non sembrano buoni, sia per l’una che per l’altra fazione.
Sulla questione del voto sussistono due diverse problematiche. La prima riguarda la scelta soggettiva di ogni singolo cittadino nel preferire un colore, un partito politico, piuttosto che un altro, mentre la seconda verte sulla presenza territoriale di gruppi parastatali e criminali che nel cittadino incutono quel timore indispensabile a far sì che egli non si senta più libero di scegliere. È indubbio che venendo meno la possibilità di scegliere, la questione del voto si esaurisce nel teatro degli eventi. La campagna elettorale si è definitivamente conclusa e i candidati hanno potuto riprendere il discorso da dove lo avevano lasciato due settimane prima, facendo leva sugli interessi della comunità (legalità, mobilità, sociale, cultura, economia) e rimarcando il loro impegno per l’attuazione.
Eppure la preoccupazione che a Ostia le elezioni siano inutili persiste nello scetticismo della gente, come se in realtà fossero già state vinte, le poltrone già state assegnate a candidati senza lista. Tutto ciò è accaduto anni fa, quando è stato permesso che il criminale (facente parte in questo caso del clan dei Fasciani, degli Spada o dei Casamonica a loro vicini) assumesse formalmente un ruolo istituzionale generando un consenso talmente unanime che, nelle interviste pubbliche ascoltate e lette finora rilasciate da cittadini che vivono in quel territorio, non si riesce a scorgere la naturale linea di demarcazione tra quel che è giusto e quel che è sbagliato. In tale contesto non dovrebbe essere difficile ritenere sbagliato, ingiusto, illecito che a un criminale gli si conceda di avere la responsabilità e il libero arbitrio sulle persone che vi abitano. Tuttavia lo è, sotto i loro stessi occhi la cittadinanza tanto conquistata nei secoli precedenti si è così di nuovo tradotta in sudditanza.
Mafia marketing 2.0
Vi è stato nel corso del tempo anche un cambiamento a livello di comportamento mafioso. Il criminale novecentesco abituato alla violazione della normativa che regola lo Stato è oggi un abile manipolatore. Egli è conforme agli interessi comuni e fa propri quei fattori di ascendenza tanto cari alla psicologia sociale. Tramite atti di generosità, di presenza sul territorio (divenendo spesso una guida, come è stato più volte dichiarato in merito al comportamento che aveva Roberto Spada nella sua palestra; oppure, l’esempio dei pacchi di pasta consegnati da Casapound), di intelligenza nel risolvere tempestivamente i problemi dei cittadini approfittando dell’assenza di controllo da parte dello Stato di diritto (ad esempio, l’assegnazione delle case popolari, come è stato reso noto nell’operazione Sub Urbe), nonché tramite quel senso di sicurezza datogli dalla sua figura che rende gli imprevisti della vita un business (sa che nel corso del tempo potrebbero accadere cose spiacevoli e fornisce una soluzione efficace: l’usura, la protezione). Il criminale dunque, immedesimandosi con il cittadino, ha ottenuto così un’influenza tale da non poter essere più in alcun modo osteggiato. Impartisce lezioni che chiamerà di coraggio e ai ribelli che denunceranno il sopruso, perché dotati ancora di pensiero critico, infliggerà la morte come ultima azione di un despota privato dell’onore.
Una dignità sleale che lui stesso avrà trasformato, sottraendo con cognizione la libertà altrui in quel dominio della paura coniato dal sociologo polacco Zygmunt Bauman, ed oggi rappresentato con ancora più prepotenza dell’anti-Stato, nella persona di mafia, sensibile solo alla ripartizione della Demos.