Silvio Berlusconi è sceso ancora una volta in campo, ha iniziato visitando tutte le parrocchie tv. Proponendo sempre lo stesso programma elettorale di vent’anni fa, come dimostra l’intervista che gli fece Enzo Biagi il 13 dicembre 2000 pubblicata da il Fatto Quotidiano. Biagi, a dieci anni dalla scomparsa, è considerato ancora il miglior giornalista televisivo e, guardando ciò che sta andando in onda, lo rimarrà per un pezzo.
“Dalla politica bisogna farsi dare del lei”, ripeteva spesso. Tambroni e Preti lo fecero cacciare dalla direzione di Epoca e dal Resto del Carlino; Craxi gli impedì di dirigere il Corriere della sera ma non di andare in onda con Linea diretta. Era il 1985. Allora il presidente della Rai era Sergio Zavoli, il direttore generale Biagio Agnes e a capo del Tg1vi era Albino Longhi, altro livello rispetto ai dirigenti che, dopo l’editto bulgaro (18 aprile 2002) eseguirono gli ordini di Berlusconi chiudendo Il Fatto: la trasmissione che nel 2004 i critici televisivi votarono come la migliore dei cinquant’anni della Rai. Vinsero una battaglia ma non la guerra, la vittoria finale appartiene a Biagi quando, cinque anni dopo, il 23 aprile 2007, a ottantasei anni suonati, poco prima di morire, tornò in tv con quel contratto che gli era stato disdetto per raccomandata con ricevuta di ritorno, con Rt Rotocalco televisivo. Sarebbe un errore identificare la storia televisiva del grande giornalista con l’editto bulgaro. L’editto appartiene alla Storia d’Italia. Quel giorno in Bulgaria, durante la conferenza stampa di Berlusconi, fu violentata la Costituzione nella libertà di espressione. Da allora è cambiata l’informazione, in particolare quella tv. Le metastasi derivanti dal berlusconismo sono state devastanti, come l’autocensura. “Inevitabilmente i nostri atti ci seguono e per qualcuno anche quelli giudiziari” diceva Biagi. Oggi l’ex Cavaliere è un pregiudicato condannato definitivamente per frode fiscale, falso in bilancio, appropriazione indebita, creazione di fondi neri gestendo i diritti tv di Mediaset, poi è imputato a Milano, Torino e Bari con l’accusa di corruzione. Non è finita, dopo le intercettazioni in carcere del boss Giuseppe Graviano, è nuovamente indagato con Marcello Dell’Utri nell’inchiesta sui mandanti occulti delle stragi mafiose del 1993 che colpirono Firenze, Roma e Milano. Nonostante ciò è ancora in pista, resuscitato da un centro-sinistra che pur di governare è sceso a patti con un pregiudicato. Di questi argomenti: mafia, giustizia, conflitto d’interessi, nelle interviste di questi giorni nessuna traccia, sono tabù come lo erano negli anni Novanta. Ieri come oggi, il manovratore non va mai disturbato. Un esempio: cosa sappiamo del processo sulla trattativa mafia-Stato? L’intervista di Biagi a Berlusconi, pubblicata da il Fatto Quotidiano avvenne in piena campagna elettorale per le politiche del 2001 che riportarono il leader del centro-destra a Palazzo Chigi. Biagi, con Santoro e Luttazzi, fu accusato di “aver fatto un uso criminoso della tv”, per aver ospitato, a ridosso del voto, Roberto Benigni. Non fu quella la puntata che aveva “disturbato” Berlusconi, la lista è lunga: Travaglio e Guzzanti (otto milioni di telespettatori) al Fatto dopo la trasmissione Satyricon di Rai 2 sul libro L’odore dei soldi; l’intervista di Biagi a Montanelli; la puntata sul libro dell’ex Cavaliere mandato a tutte le famiglie: Una storia italiana… Sotto sotto, Berlusconi ammirava Biagi e contemporaneamente lo detestava per essere stato l’unico a dirgli di no. Mentre sulle sue reti preparava i telegiornali, definì l’anchorman ideale: “Vorrei che avesse la vis polemica di Giorgio Bocca, la simpatia di Guglielmo Zucconi, lo stile di Arrigo Levi, la chiarezza di Indro Montanelli e l’autorevolezza di Enzo Biagi”. Il giornalista di Pianaccio non andò alla corte di Berlusconi, non perché era contro la tv commerciale, ma per la sua appartenenza alla P2: “Con i piduisti non voglio avere nulla a che fare”, disse.