E’ “irredimibile” la Sicilia, o solo dannata? Non sono mai stato un commentatore politico e non mi voglio reinventare tale, soprattutto per la mia ritrosia nei confronti dei “tuttologhi”. Alcune considerazioni, però, vorrei farle semplicemente come cittadino, perché amo la Sicilia e per questa “dannatissima” Terra sto dando la vita nel mio impegno quotidiano di giornalista (giusto o sbagliato lo dirà la storia).
La prima: astensionismo. C’è poco da festeggiare, ha vinto l’indifferenza e se l’astensionismo ha raggiunto vette incredibili (in Sicilia vota solo il 46 per cento, ad Ostia – che ricordo avere ben 180mila aventi diritto – due su tre non hanno votato) la colpa è (certamente) di una classe politica che si “parla addosso” e che non riesce ad entusiasmare, ma anche di chi crede che con il lamento possa risolvere tutto. C’è una disaffezione drammatica, ci rendiamo conto che il nuovo presidente della Regione Sicilia è stato eletto da meno della metà dei votanti (e quindi da poche, molte poche persone…). Consiglierei pudore, prima di urlare alla vittoria.
La seconda: un nome ed un cognome, Pietro Grasso. Ieri sera la seconda carica della Repubblica è stata fatta oggetto di un attacco tanto vergognoso quanto inaccettabile. Invece di trovare le motivazioni di una sconfitta dai contorni così visibili, c’è stato chi, nel Pd, ha voluto tirare per la giacchetta il Presidente del Senato, facendo appello ad una sua (eventuale) mancanza di coraggio. Tale accusa fa sorridere per chi, del coraggio, ne ha fatto un inno ed una vita di sacrificio: due attentati sventati – tanto per citare qualche fatto concreto -, amici persi sul campo e pianti fra le sue braccia, da Falcone a Borsellino, ma non solo. Insomma, imputare scarso coraggio a Piero Grasso mi sembra davvero troppo. A meno che non sia la solita storia che, quando la partita sta finendo e si perde, per nascondere le proprie responsabilità, si va via protestando e portando via il pallone. Grasso merita tutta la nostra solidarietà e rispetto, ben al di là delle piccole beghe politiche.
Terza: i ventimila voti dell’enfant prodige. Se fosse un ragazzo qualsiasi, sarei felicissimo: i siciliani, messinesi in questo caso, avrebbero dato fiducia ad un ragazzo, sarebbe una cosa meravigliosa. Parliamo, invece, del figlio del più volte deputato Francantonio Genovese (condannato ad 11 anni di reclusione per truffa e peculato, insieme alla moglie, quindi la madre, e lo zio – deputato uscente). Voti come dinastie, come a dire: “io non posso candidarmi perché condannato? Che problema c’è, ho chi ha il mio stesso cognome…”.
Ecco, tre considerazioni piccole piccole, minuscole, in una contesa elettorale enorme. Si, perché a volte l’atteggiamento mafioso è peggio della mafia e la Sicilia di atteggiamenti mafiosi ne ha avuti (scusatemi, ne ha) davvero troppi. D’altronde lo diceva Sciascia che “La contraddizione definisce Palermo. Pena antica e dolore nuovo, le pietre dei falansteri impastate di sangue ma anche di sudore onesto. La Mafia che distribuisce equamente lavoro e morte, soperchierìa e protezione”. Si, Sciascia, lo stesso che definì la Sicilia “irredimibile”.