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Giornalisti minacciati: passare dalle denunce alle azioni per proteggerli

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Quanta ruggine in quella piccola strada tra il lungomare e la palestra di Roberto Spada, che ora è chiusa ma dice ancora tutto di ciò che è stata: lo spazio per allenarsi alla boxe dura e alla vita ancora più dura di Nuova Ostia. Per arrivarci devi costeggiare un tratto di costa laziale tanto simile a quello domitio. Troppo simile. Sul versante sud stabilimenti abbandonati e ruggine sulle recinzioni, prostitute e ruggine sui cancelli di un vecchio campo, qualche spacciatore anche di giorno, manifesti elettorali lungo una strada dissestata dove al posto delle fermate del bus ci sono pozzanghere. L’aria dimenticata è uguale a quella che si respira scendendo lungo il litorale tra Baia Domitia e Castel Volturno, il regno della camorra senza scrupoli. Ma non è la periferia di Napoli, è quella di Roma. E l’unica vera differenza è che sul litorale di Baia Domitia, dove è appena finito il Lazio e comincia la Campania, c’è anche la consapevolezza del problema mafia. Qui, invece, forse, ancora non del tutto. L’inaudita e feroce aggressione a Daniele Piervincenzi ha costretto tutti a guardare in faccia Ostia e a riconoscere che qui e nel resto del Lazio i giornalisti non hanno vita facile. Da quattro anni il Lazio è al primo posto per numero di cronisti minacciati, con atti che integrano reati e azioni legali temerarie. L’Associazione Stampa Romana, la Fnsi , l’Ordine, Articolo 21 e Ossigeno hanno cercato di spiegare quanto grave fosse la situazione. Purtroppo solo le immagini dell’aggressione al collega Piervincenzi hanno costretto davvero tutti ad ammettere il problema della condizione dell’informazione a Roma e nelle altre province.I numeri sono impietosi e inconfutabili. Il Lazio detiene la maglia nera nella brutta hit delle minacce ai giornalisti. L’ultimo aggiornamento segna 112 su 321 totali da gennaio a ottobre 2017, più di regioni tradizionalmente a rischio come la Campania e la Sicilia. I 112 casi sono così suddivisi: 50 denunce ed azioni legali, 42 avvertimenti, 11 ostacoli all’informazione, 8 aggressioni fisiche, un danneggiamento. Negli ultimi due anni le iniziative per diffondere questi dati e cercare soluzioni, o almeno maggiori tutele, si sono moltiplicate ma in effetti le risposte sono state labili, persino dalle istituzioni deputate ad garantire la sicurezza dei cronisti. L’unico vero passo avanti è venuto dall’interno della categoria e oggi si è tutti d’accordo sul fatto che gli organismi di rappresentanza saranno accanto ai cronisti minacciati e parte civile contro i loro aggressori. Questo certamente avverrà anche per il collega Daniele Piervincenzi perché nei momenti in cui lui è stato pestato a sangue, sono state ferite a morte la professione e la democrazia. Forse si poteva, anzi si doveva fare di più. Anche noi cronisti del Lazio, forse, avremmo dovuto parlare più forte, a più persone, con maggiore frequenza. Ora più che mai è indispensabile mantenere alta l’attenzione su quel dato: le minacce record ai giornalisti del Lazio, un luogo insospettabile, la regione della capitale del Paese. Dove, però, succedono cose che forse non si vedono più a Casal di Principe nè a Reggio Calabria. Adesso la solidarietà è importante ma non è sufficiente. Ha ragione l’avvocato Andrea Di Pietro che, per conto di Ossigeno, ha detto, all’iniziativa dedicata i giornalisti minacciati (appena dieci giorni fa!), che bisogna “considerare l’informazione un bene comune del Paese “. E ha ragione il direttore di Ossigeno, Alberto Spampinato, quando dice che “bisogna punire più severamente i reati contro i giornalisti perché essi colpiscono il diritto all’informazione e non solo il singolo cronista”. E ha ragione Giuseppe Giulietti quando dice che la più grande difesa del cronista “solo” è la scorta mediatica, ossia l’amplificazione dell’inchiesta che gli è “valsa” l’aggressione. E ha ragione Lazzaro Pappagallo, segretario di Asr, quando dice che sono più soli i cronisti poveri e delle periferie, esposti alle testate in faccia e alle querele senza un giornale che li protegga e un reddito decente che li sostenga.
Alla luce di quello che è accaduto a Ostia, tanto simile a Mondragone, resta, in quelli che hanno provato a far comprendere il problema dei cronisti minacciati, il dubbio che forse qualcosa di più e di altro si doveva fare perché mai dovessero scorrere quelle immagini di un giornalista pestato a sangue da un delinquente comune, per il solo fatto di aver voluto provare a fare il suo mestiere.Per questo non bisogna fermarsi: ai cronisti va riconosciuto il loro ruolo di lavoratori e di tasselli di democrazia e come tali devono essere considerati. Quindi pene più severe per chi aggredisce i giornalisti, multe salate per chi presenta querele temerarie, agevolazione e non restrizione nell’accesso agli atti giudiziari e amministrativi. Ed è stato anche questo il senso della manifestazione di oggi davanti alla palestra Spada, decine di giornalisti sono tornati in via Forni a raccontare ciò che stava raccontando Daniele. Eravamo tanti e ognuno di noi ha scritto, filmato, documentato a suo modo quella Ostia feroce.


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