Le sculture di Gian Lorenzo Bernini che si dipanano lungo il percorso della Galleria Borghese di Roma. Confrontandosi con la vis tragica di un Caravaggio o la sensualità di un Tiziano. E’ una occasione straordinaria questa che offre la Galleria Borghese per festeggiare i vent’anni da quando è stata riaperta dopo un estenuante periodo di chiusura, a causa del prolungarsi dei restauri.
Al grande pubblico Bernini è noto per il colonnato e, soprattutto, per il baldacchino, un trionfo barocco con le sue colonne tortili, di San Pietro e per la fontana dei fiumi a Piazza Navona, di cui è esposto il modello.
Nella sua lunga (era nato a Napoli nel 1598; morì a Roma nel 1680), fortunata e ben retribuita carriera, l’artista ebbe modo di esplorare i più diversi ambiti. A cominciare dalla mitologia classica che trova il suo vertice in “Apollo e Dafne” (1622): la tragedia unita all’eleganza della composizione; il marmo morbido quasi fosse cera. Ed ancora la tensione drammatica dei corpi in “Enea, Anchise e Ascanio” opera di poco anteriore. La stessa tensione che si ritrova nel Davide, quasi una moderna interpretazione barocca rispetto a quello michelangelesco, che si appresta a sfidare Golia con la sua fionda. Seguono le allegorie, in veste di donna più o meno discinta, delle virtù accanto alla statua della primavera che dispensa i fiori. I temi eroici e quelli scherzosi. Come il fauno che scherza con gli amorini, un’opera che Bernini, appena sedicenne realizzò in coproduzione con il padre Pietro.
Altro capitolo: i busti di re, principi, cardinali (vedi quello di Scipione Borghese suo grande committente e mecenate) e papi, disposti in sequenza al primo piano e, fatto straordinario, messi a confronto con altrettanti ritratti, ma realizzati su tela. Fra tutti il più penetrante è l’autoritratto del 1630.
E’ in tarda età che Bernini affronta il tema della Crocifissione ed è proprio questa icona a concludere la rassegna.
A cura di Anna Coliva, direttrice della Galleria Borghese. Fino al 4 febbraio