La festa del cinema di Roma si sta sempre più affermando come tale, vale a dire attenta al gusto e ai problemi della gente, più che a quelli degli addetti ai lavori come accade in altri festival. E la formula si rivela vincente perché aumentano notevolmente pubblico e stampa, con una qualità delle pellicole indiscutibilmente buona.
Tre film – “I, Tonya”, “Love means zero” e “Borg McEnroe” – hanno raccontato in modo affascinante il mondo dello sport. “I, Tonya” descrive in maniera ironica e coinvolgente l’infanzia difficile di Tonya Harding, la prima pattinatrice americana a eseguire il “triple axel”; la sua ascesa alle Olimpiadi e la rovinosa caduta dopo l’accusa di aggressione a una collega .“Love means zero” ha per protagonista il reale Nick Bollettieri – italo-americano che è stato anche allenatore di Agassi – che con parole sue ci narra un’esistenza dedita ad addestrare campioni con una filosofia secondo cui “Love means zero”, l’amore significa zero: non a caso Bollettieri ha avuto otto mogli. “Borg McEnroe” di Janus Metz Pedersen, che ha vinto il Premio del Pubblico Bnl, ci trasmette con ritmo, con sonoro sapiente e ricostruzioni fedeli, lo scontro fra due grandissimi del tennis che culminò nella leggendaria finale di Wimbledon del 1980. I protagonisti – bravi e somiglianti Sverrir Gudnanson e Shia LaBeouf – sono ritratti come moderni gladiatori tesi a primeggiare per una ragione di vita. Il film uscirà nelle sale il 9 novembre. “Borg McEnroe” merita il premio che la gente gli ha attribuito.
Anche a Roma il cinema è antirazzista e pacificatore. Molte le pellicole capaci di questo messaggio. Basti ricordare “Detroit” di Katryn Bigelow, che trascina lo spettatore in uno degli episodi più sanguinosi della moderna storia americana e fa riflettere sulla realtà di oggi. Antirazzista è “Hostiles” di Scott Cooper, un western di fattura popolare, dove un leggendario capitano dell’esercito americano e un capo guerriero Cheyenne da acerrimi nemici diventano solidali. “Sea sorrow”, documentario sui profughi, vede il debutto di Vanessa Redgrave alla regia. “Da’wah”, ovvero L’invito, una produzione indonesiana diretta dall’italiano Italo Spinelli, mostra l’Islam della tolleranza e della coesistenza.
La questione femminile è stata rappresentata da opere di squisita fattura come “Mademoiselle Paradis” di Barbara Albert. Film storico-biografico, ambientato a Vienna nel 1777, sulla giovinezza di Maria Teresa Paradis, eccellente pianista cieca, che un medico cercò di salvare scontrandosi con i pregiudizi e gli interessi di un ambiente insano. “Los adioses” di Natalia Beristain, biografia di Rosario Castellanos una delle più grandi scrittrici messicane del ventesimo secolo. Molto apprezzato il documentario di Tom Wolf “Maria by Callas: in her Own Words”, una vita memorabile raccontata da lei medesima.
E naturalmente non sono stati pochi i film di divertimento puro, uno per tutti “C’est la vie” dove si ride, e molto, di noi stessi: ad esempio degli equivoci che sorgono quando, scrivendo messaggi il telefonino cambia da solo le parole.
Il cinema insomma come festa autentica e appuntamento educativo dove, anche con l’esercizio della leggerezza, si può imparare come all’università.