Il 2 novembre in tutto il mondo si celebra, da quattro anni, la Giornata internazionale per porre fine all’impunità sui crimini contro i giornalisti.
Mai come quest’anno, a meno di tre settimane dall’uccisione a Malta di Daphne Caruana Galizia, di cui domani saranno celebrati i funerali,la ricorrenza dell’Impunity Day indetto dall’Onu acquisisce un significato e una rilevanza ancor maggiori.
Oggi alcune delle maggiori testate giornalistiche mondiali hanno invitato la Commissione europea a investigare sul suo omicidio e sull’indipendenza dei media dell’isola. Tra i firmatari dell’appello il direttore del ‘Guardian’, Katharine Viner, sottoscritto anche dal direttore esecutivo del New York Times Dean Baquet, da Jerome Fenoglio del francese ‘Le Monde’, da James Harding dell’emittente britannica ‘BBC’. I giornalisti hanno scritto a Frans Timmermans, primo vicepresidente della Commissione, descrivendo l’assassinio della reporter come “sconvolgente” e parlando di un “terribile richiamo” ai pericoli corsi da chi fa informazione su fenomeni criminali e di corruzione.
Altri firmatari della lettera sono Wolfgang Krach del giornale tedesco Süddeutsche Zeitung, Lionel Barber del britannico Financial Times, Mario Calabresi de ‘La Repubblica’ e Antonio Caño, dello spagnolo ‘El Pais’.
Daphne era una collega libera, coraggiosa ma non sprovveduta. L’avevo conosciuta a una conferenza sul Mediterraneo nel 2015. Era solare, dolce ma forte. Eravamo rimaste in contatto per qualche tempo poi, come capita spesso, la lontananza e gli impegni portano a perdersi di vista e a trascurare i rapporti a distanza. Ma avevo gioito per il suo scoop sui Panama Papers con informazioni compromettenti che coinvolgevano noti politici maltesi
Scandali di cui aveva parlato anche negli ultimi post sul suo blog “Running Commentary”, attraverso cui aveva rivelato al mondo una vicenda di petrolio e corruzione portata alla luce dalla diffusione di documenti che, partendo dal coinvolgimento della moglie del premier di Malta Joseph Muscat, presupponeva che quest’ultimo e altri esponenti del governo avessero incassato tangenti dall’Azerbaijan.
“Non so perché dovremmo essere sorpresi che la criminalità organizzata abbia insinuato i suoi tentacoli nei più alti livelli istituzionali a Malta, utilizzando la democrazia per i suoi scopi. Se è accaduto in Italia e nell’Europa orientale, può accadere anche qui, dove le istituzioni statali sono molto più deboli” uno dei commenti che più mi avevano colpita.
E le ultime cose pubblicate, l’articolo più recente era di 28 minuti prima della sua morte, seguivano proprio questa linea: la denuncia continua del malaffare dilagante a Malta.
“Ci sono dei criminali ovunque si guardi. La situazione è disperata” lo sfogo finale della giornalista a commento del processo per corruzione a carico di Mizzi e dell’ex portavoce di Muscat, Keith Schembri. E nel post precedente, pubblicando la foto di uno degli imputati che uscendo dal tribunale si era fatto fotografare sorridente mentre salutava un bambino in braccio al padre, affermava “possono mostrarsi eleganti e sicuri con la speranza di creare un effetto rassicurante ma le loro false espressioni non li aiuteranno”.
Insomma i suoi nemici avevano buoni motivi di temere che il giornalismo investigativo di Daphne potesse far emergere nuovi particolari sui loschi affari nel Paese. E qualcuno, forse, era così preoccupato da “ordinare” il suo assassinio per farla tacere. Per sempre.
L’attentato che ha dilaniato la 53enne madre di due figli ha confermato quanto denunciava da anni: l’espansione degli interessi oscuri a Malta, trasformata in “uno stato criminale” come lo definiva lei stessa svelando un sistema fatto di corruzione, di imprese nate per riciclare denaro sporco o per pagare mazzette, sempre più vasto soprattutto per l’inerzia della giustizia incapace di individuare le menti dietro il giro di tangenti pagate ai politici maltesi e i 15 omicidi in stile mafioso che si sono verificati sull’isola negli ultimi 10 anni. Sedici con il suo.
In totale, nel mondo, dal 2006 ad oggi sono stati uccisi 930 giornalisti, uno ogni quattro giorni.
In nove casi su dieci gli assassini sono rimasti impuniti.
Una vera e propria emergenza rispetto cui i governi, la società civile, i media, tutti noi, siamo chiamati a mobilitarci e a sostenere lo stato di diritto mettendo in campo ogni sforzo possibile, a livello globale, per porre fine alle impunità per questi crimini.