Europa: si discute sul “Regolamento” dell’immigrazione. Realisti ed egoisti a confronto
“Io quando stavo in Somalia pensavo di non voler andare in Italia. Mai scelto davvero in quale paese andare, ma non pensavo di certo all’Italia. Piuttosto Svezia o Germania. Sulla mia barca solo tre persone volevano stare in Italia, ma perché avevano già amici. Altrimenti nessuno. Però arrivati qui perché non c’era altra pista” – racconta ridendo Mudalib, viso pulito e amichevole, diciannove anni, somalo, richiedente asilo da quasi un anno. Nel 2016 ha deciso di scappare dal proprio Paese lacerato dalla povertà, dal malfunzionamento statale e dalla guerra quotidiana mossa dal gruppo terroristico Al-Shabaab.
Come tanti suoi compagni ha affrontato il calvario della traversata degli Stati africani, del Sahara e del Mediterraneo. Poi è iniziato il secondo calvario: “Nessuno ti chiede o ti fa domande. Solo quando siamo arrivati c’era una persona per tradurre. Lui ci ha aiutato, ma dopo loro hanno detto solo ‘prendi questo (il numero che indica il campo di accoglienza di destinazione n.d.r.), non perderlo mai e aspetta di essere trasferito’. E poi basta”.
Nessuna informazione, nessuna spiegazione, a volte nemmeno un mediatore per spiegare il percorso da affrontare e le scelte da fare nelle prime ventiquattro ore. Ma appena giungono in Europa i migranti debbono prendere decisioni determinanti per il proprio futuro: solo che non lo sanno. Quali?
Scegliere, per esempio, il Paese in cui fare richiesta di asilo politico: anche se “scegliere” non è il termine più appropriato, dato che questo passaggio burocratico, ma decisivo, finora è sempre stato dettato in automatico dal “Regolamento di Dublino”, trattato internazionale multilaterale in tema di diritto d’asilo. Questa convenzione stabilisce i criteri di determinazione dello Stato membro dell’Unione Europea che dovrà farsi carico della richiesta di protezione internazionale da parte dei migranti… Continua su isiciliani