Un giorno il leopardo s’imbatté in una tartaruga, che da tempo cercava di catturare. Le parlò e le disse: “Preparati a morire!” La tartaruga di rimando ribatté : “Posso chiederti un favore prima di morire?”.
Il leopardo acconsentì e, allora, la tartaruga spiegò il perché della sua richiesta. “Dammi qualche minuto affinché io possa preparare il mio animo.” – precisò. Il leopardo trovò legittima la richiesta e non ebbe nulla da obiettare.
Ma accadde che la tartaruga, anziché starsene immobile, come si aspettava il leopardo, cominciò a grattare freneticamente sul terreno circostante e , in questo modo, gettava sabbia in tutte le direzioni.
Stupito dalla scena, il leopardo chiese alla tartaruga : “Perché fai così?”.
E la tartaruga con serenità : “Vorrei che, una volta che io sia morta, chiunque si trovi a passare da queste parti possa dire che io, tartaruga, ho lottato contro un mio pari.”.
La storia insegna che noi africani è proprio questo quello che stiamo facendo – disse il griot ai suoi attenti uditori – e cioè che quanti verranno dopo di noi possano dire tranquillamente : “ E’ vero che i nostri padri furono sconfitti, ma almeno ci provarono.”
Questa è la fiaba del Leopardo e della Tartaruga, tratta dal romanzo “Viandanti della storia” di Chinua Achebe raccontata da Domenico Quirico alla fine di una densa intervista in cui abbiamo approfondito il tema del suo libro, “Il Tuffo nel Pozzo – E’ ancora possibile fare del buon giornalismo?”
Quello che Quirico offre è il punto di vista che viene dalla sulla incredibile esperienza di giornalista di guerra: senza alcuna pretesa di dare soluzioni – nel titolo, infatti, è posto un dubbio – Quirico racconta il suo modo di lavorare “come la Tartaruga” della fiaba di Achebe: andare, vedere e raccontare perché, “se qualcuno un giorno dovesse passare dalla parte dei fatti (i seicentomila morti in Siria o i cinquantamila arrivi a Lampedusa), non pensi che non vi fu nessuno a raccontarli, a porre questioni, a dare loro un senso.”
E se nell’andare e vedere non vi è nulla da riportare a casa, meglio tacere che utilizzare le informazioni di seconda mano – quelle di Internet, per esempio – per confezionare reportage che reportage non sono. “Il giornalismo – ha detto infatti Quirico in quello che potremmo tutti fare nostro come appello – si può salvare anche con il silenzio.” “Ormai il lettore l’ha capito. Il lettore – scrive Quirico nel libro – non è un analfabeta e si accorge – così poi torna a voce sul concetto – che lo stanno fregando, che il racconto non viene da una esperienza diretta.” Certo, il perimetro è quello dei racconti di guerra, ma la conclusione che se ne trae, tanto triste quanto ormai scontata, è che salta il rapporto di fiducia tra lettori e… Continua su lsdi