Attraverso un’avventura testuale diventa possibile comprendere scelte, difficoltà e percorsi delle persone in fuga, inoltre, il videogioco spiega anche le scelte d’amore al tempo dei conflitti
Il progetto nasce dall’idea del giornalista francese Florent Maurin che ha deciso di mettere il suo estro a disposizione della grafica e del design: si tratta di un videogioco che intende raccontare l’esperienza dei rifugiati. Bury me, my love si caratterizza come un videogioco per mobile realizzato da The pixel hunt di cui Maurin è fondatore, uscito a fine ottobre per iOS e Android, tradotto in italiano con il nome “Se mi ami, non morire”. Questo gioco, infatti, che si ispira a What’s app e Lifeline come interfaccia testuale vede dare forma alle vicende personali di una donna in fuga dalla guerra mentre il marito rimane in Siria. In tal senso, “Se mi ami non morire” si riconduce alla frase usata di solito dal marito per salutare la moglie e per dimostrare protezione nei suoi confronti.
Un videogioco mette di fronte alle difficoltà di chi fugge dalla guerra
Chi gioca si trova davanti ad un’avventura testuale, e visualizza una schermata di chat con i messaggi che Nour, la protagonista, scrive al marito Majd. Il giocatore si trova al posto di Majd e viene a conoscenza degli eventi col procedere del gioco; può parlare con Nour e consigliarla sulle scelte da prendere soprattutto in relazione alle variabili economiche e temporali e su come affrontare un viaggiopericoloso che ha come destinazione finale l’Europa. Attraverso la possibilità di visualizzare una mappa è possibile inoltre seguire gli spostamenti della donna ed essere informati sui luoghi che Nour sta attraversando.
Un progetto ispirato a persone vere
L’idea di Maurin si sviluppa, come egli stesso racconta grazie ad un progetto di giornalismo creativo della giornalista del Le Monde, Lucie Soullier,“Il viaggio di una migrante siriana, raccontato attraverso i suoi messaggi su Whatsapp”.
«Quando ho letto l’articolo di Lucie – ha dichiarato Maurin – ho subito pensato a quanto mi sarebbe piaciuto adattarlo in un videogioco. Era un modo di raccontare la storia con cui era facile capirla: usiamo tutti Whatsapp, ma non per ragioni di vita o di morte. Così ho contattato Lucie e lei mi ha aiutato a contattare Dana, la donna siriana che ha affrontato il viaggio e che stata felicissima di collaborare e trasformare la sua storia in questo lavoro». Maurin ha anche aggiunto «Abbiamo deciso molto presto che il videogioco dovesse essere una love story: volevamo che fosse delicato, una storia di persone vere».
La vera storia di Dana ha dato spazio, dunque, al personaggio di Nour e ad una nuova forma di racconto il cui autore ha voluto conservare l’autenticità dei sentimenti in un momento di vita e di scelte estreme. Con il videogioco questa storia vede molte ramificazioni sia nella trama che nel percorso con ben 19 finali diversi ma Maurin specifica « non perché ci preoccupassimo in particolare della possibilità di “rigiocare”, ma per garantire che ogni persona avesse la propria storia — per rendere quella di Nour non la storia di un solo personaggio ma una vicenda metaforica, corale».
Emerge, così, in modo originale una storia di vita che sembra estrapolata dalla cronaca attuale. Questo avviene attraverso la resa di un videogioco che non spiega tutte le problematiche legate ai conflitti ma restituisce una versione tale da focalizzare l’attenzione sulla relazione e sulle emozioni di una coppia separata dalla guerra.